«È stato strano. Sapevamo esattamente quale sarebbe stato l’evolversi della situazione, ma non potevamo fare nulla di concreto. Le persone continuavano a condurre le loro vite in tutta tranquillità ed entrambi i governi sembravano non curarsi di quanto stesse accadendo, mentre noi vedevamo da qui il nostro Paese raggiungere un punto mai toccato prima».
Sono queste le parole con cui è iniziata l’intervista di MasterX a Flavia. Ventitré anni, partita dalla provincia di Napoli, si è trasferita da qualche mese in Francia con il suo fidanzato, Pasquale, 25 anni, con l’obiettivo di trovare un lavoro dopo la laurea in Mediazione linguistica e culturale. Ha iniziato però a lavorare come cameriera in un ristorante italiano in Svizzera: «L’idea è mettere dei soldi da parte per potermi sistemare e dedicare con calma alla ricerca di un’occupazione che mi gratifichi».
Progetti e sogni messi in pausa da un virus che sta mettendo in ginocchio l’economia mondiale e sta portando al collasso i sistemi sanitari dei paesi più sviluppati: il COVID-19.
Flavia si è trovata così a vivere una situazione surreale: proveniente dallo Stato europeo che per primo ha attuato il lockdown, vive e lavora in due Paesi che, lunedì 16 marzo, hanno scelto di adottare il “modello italiano”.
«Qui è successo tutto in poco tempo, esattamente come in Italia. La differenza, però, è che in Italia non eravate preparati psicologicamente a tutto questo» ha aggiunto la ragazza.
Francia e Svizzera in lockdown
In Francia, il Presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, ha annunciato la decisione di adottare misure simili a quelle italiane, che per settimane aveva classificato come non necessarie per il Paese. In diretta nazionale dall’Eliseo, con sguardo preoccupato, ha dichiarato: «Siamo in guerra» non contro un esercito ma contro un nemico invisibile eppure non meno pericoloso, il coronavirus. Ha quindi disposto una riduzione degli spostamenti per 15 giorni, «si potrà uscire solo per fare la spesa, per motivi sanitari, andare a lavoro e per fare un po’ di attività fisica ma senza incontrarsi con altri». Rinviate tutte le riforme, ma anche il secondo turno delle elezioni municipali.
In Svizzera, il Consiglio federale ha stabilito lo stato di emergenza e la chiusura di bar, ristoranti, negozi, discoteche, ma anche parchi, stazioni sciistiche, mercati, parrucchieri, centri estetici. Resteranno aperti solo gli esercizi commerciali di prima necessità. Le autorità hanno invitato i cittadini a restare a casa e ad evitare i contatti con le altre persone. Le misure sono state annunciate durante una conferenza stampa alla quale ha preso parte anche Simonetta Sommaruga, Presidente della Confederazione svizzera. Il provvedimento durerà fino al 19 aprile.
Il risveglio della Francia dopo l’annuncio di Macron
Flavia ha raccontato a MasterX di aver ricevuto nella notte tra il 16 e il 17 marzo un messaggio dal Governo francese che informava i cittadini delle misure adottate: «Nei giorni scorsi mi sono informata sull’evolversi della situazione qui in Francia, cercando prevalentemente notizie su internet, perché in casa non abbiamo la televisione. Questa mattina, a mia sorpresa, ho trovato un questo messaggio sul cellulare».
All’indomani dell’annuncio del Presidente francese la situazione non è cambiata molto. «Fino a mezzogiorno (di martedì 17 marzo), vicino alla nostra casa (ad Annemasse, Alta Savoia, ndr) le persone erano in strada. C’erano dei ragazzi che giocavano a skateboard e delle famiglie che si recavano a fare la spesa. Nel pomeriggio sono arrivate un po’ di pattuglie a sorvegliare le strade che adesso sono meno affollate», ha raccontato Flavia, che ha aggiunto: «Circola ancora qualche auto e non tutte le attività commerciali sono chiuse. C’è ancora qualche bar aperto, il che mi sorprende».
Nei supermercati si sono verificate scene molto simili a quelle viste anche in Italia. Scaffali vuoti e lunghe code fuori: «Il latte era introvabile, così come anche la pasta e i sughi. Per non parlare poi della carta igienica e dei disinfettanti. Era surreale. Non mi è mai capitato di vedere un negozio così vuoto».
«Ho notato poi che nei supermercati più grandi un minimo di controllo c’è, anche se non è abbastanza per fronteggiare l’emergenza», ha aggiunto la ragazza.
In un negozio di alimentari, visitato da Flavia e Pasquale nella mattina del 17 marzo, era consentita l’entrata a un gruppo di 15 persone per volta. I controlli però non sono stati così stringenti: «Non aspettavano che i primi 15 uscissero per poi far entrare un altro gruppo. Così, quando siamo entrati, il supermercato era pieno e si erano formate lunghe code alle casse. Le cassiere inoltre erano sprovviste di mascherine». Situazione opposta in un altro supermercato: niente controlli sul flusso dei clienti, ma personale dotato di mascherine e gel disinfettante. «Ho la sensazione che, per adesso, stiano agendo in base a ciò che sentono di fare», ha spiegato Flavia.
Le mascherine sono diventate un simbolo dell’emergenza sanitaria in corso. Anche in Francia è scattata la corsa all’acquisto: «Molte farmacie le avevano terminate. Ma una dottoressa ci ha spiegato che per poterne acquistarne una è necessaria la prescrizione medica e bisogna ordinarla in anticipo».
I giorni precedenti al lockdown
«Sui mezzi, negli ultimi giorni, si avvertiva un po’ di preoccupazione in più. Le persone evitavano di sedersi le une accanto alle altre. C’era chi premeva il pulsante della fermata con il gomito e chi con un fazzoletto», ha raccontato Flavia.
Questo però è successo nei giorni immediatamente precedenti all’annuncio di Macron, perché prima, nonostante la situazione della vicina Italia, i cittadini francesi continuavano a condurre le loro vite in tutta normalità «il che è assurdo, perché, secondo me, avrebbero dovuto adottare delle misure ancor prima del 16 marzo», ha spiegato Flavia.
Tutto questo mentre i due giovani ragazzi erano in apprensione per le loro famiglie che cercavano di tranquillizzarli sulla situazione in Italia. Le informazioni che arrivavano dal loro Paese d’origine, però, non erano rassicuranti: «Nei giorni liberi anziché uscire, preferivamo stare a casa, mentre gli altri vivevano tranquillamente le loro vite, come sembra stiano continuando a fare».
Situazione diversa in Svizzera, dove Flavia dice di aver percepito una sensibilità maggiore, come se gli svizzeri si fossero resi conto prima della minaccia incombente. «La metro era sempre abbastanza affollata, ma le persone evitavano di creare assembramenti nei luoghi pubblici», ha spiegato la 22enne, che ha aggiunto: «Di solito nel ristorante dove lavoro nell’arco di una giornata vengono tra le 600 e le 700 persone. Siamo passati dalle 140 persone di sabato (14 marzo) alle 80 di lunedì (16 marzo)».
Sensazione che Flavia ha avuta anche quando a lavoro ha deciso di indossare i guanti, nonostante il suo datore di lavoro non avesse dato delle direttive in merito: «Ho notato che la clientela apprezzava questo gesto e così tutti i miei colleghi, in primis il mio capo, hanno deciso di imitarmi».
Discriminazioni nei confronti degli italiani
«Al supermercato questa mattina (17 marzo) abbiamo assistito ad una scena che ci ha lasciato interdetti», ha raccontato con incredulità Pasquale, che ha aggiunto: «Solitamente in Francia il saluto è un gesto estremamente importante. Nei negozi, nei bar e nei ristorante gli addetti ai lavori salutano i clienti più volte. Quando siamo arrivati in cassa e la cassiera ha sentito il nostro accento italiano ha subito abbassato lo sguardo e non ha ricambiato il nostro saluto».
Flavia, invece, ci ha raccontato di un episodio spiacevole accaduto sul posto di lavoro. «Un cliente mi chiese dov’era stato prodotto il nostro limoncello. Quando gli dissi che era stato fatto in Italia, mi rispose con tono ironico che non lo gradiva più».
«Abbiamo avuto la sensazione che per francesi e svizzeri l’Italia fosse responsabile della propagazione di questo virus. Proprio loro, che fino ad oggi, hanno ignorato il problema e hanno continuato a condurre le loro vite frenetiche, mentre il numero dei contagiati continuava a crescere», ha aggiunto Pasquale.
Sensazioni che hanno avuto un riscontro concreto quando sul tram, di ritorno dal lavoro, «parlavo con mia madre al telefono e vedevo le persone spostarsi» ci ha confidato Flavia.
Storia di chi decide di restare
Alla domanda: «Tornerete dalle vostre famiglie?», i due ragazzi ci hanno risposto con un secco «No». I motivi sono diversi. «Il senso di responsabilità ci impone di stare qui. Inoltre non avrebbe senso tornare a casa, sapendo che la situazione è la stessa. Certo, potremmo riabbracciare le nostre famiglie, che ormai non vediamo da un po’, però abbiamo paura di poterli mettere in pericolo pur non avendo manifestato alcun sintomo riconducibile al virus», ci hanno spiegato entrambi.
«Avevamo tanti progetti, ma, come tutti, abbiamo dovuto metterli in pausa. Adesso speriamo solo di poter ritornare a casa quanto prima, di poter vedere il mare di Napoli e di mangiare una pizza in famiglia. Sarà il segnale della fine di quest’incubo e del ritorno alla normalità. Probabilmente una cosa cambierà: impareremo ad apprezzare tutte le cose che prima davamo per scontate», con questa speranza finisce la nostra chiacchierata via Skype.