IL MONDO DELLO SPETTACOLO CINQUE ANNI DOPO IL COVID: LA RINASCITA DEL TEATRO E IL VALORE DELLA PRESENZA

Cinque anni dopo l’inizio della pandemia di Covid-19 il mondo dello spettacolo porta ancora i segni profondi di quella crisi, ma anche le trasformazioni che ne sono seguite. Il teatro, tra tutti, ha dovuto reinventarsi, affrontare l’isolamento, trovare nuove forme di espressione e riconquistare la relazione con il pubblico. È una storia fatta di resistenza, adattamento e di nuove visioni. A raccontarla sono le voci di chi l’ha vissuta in prima linea.

Il teatro in presenza

La vicinanza fisica è l’elemento che più è mancato durante il Covid. «L’emergenza sanitaria – afferma Claudio Longhi, direttore del Piccolo Teatro di Milano – ha messo in discussione l’esistenza stessa delle pratiche performative, colpendo il cuore dell’esperienza scenica: la compresenza di corpi». «Lo spettacolo – afferma Carlo Gavaudan, presidente del Teatro Carcano di Milano – nella propria riproducibilità mediatica muore, il teatro nel suo essere dal vivo sublima la vita. Per questo, a differenza del cinema, non è stato sostituito da forme di fruizione alternative».

La sala del Teatro Carcano di Milano

Aggiunge Lucio Argano, docente di gestione della cultura all’Università Cattolica di Milano: «In quel periodo si parlò di come si dovesse trasformare l’offerta di spettacolo, infatti lo streaming è stato introdotto come possibilità all’interno del meccanismo di finanziamento. I teatri hanno fatto delle opere che mescolavano il live con il digitale, ma penso siano esperienze di “frontiera”: non sono entrate completamente nelle abitudini». Continua: «Per me lo spettacolo è il sudore degli attori e l’idea di vederli su un piccolo schermo mi fa quasi effetto. Continueranno a esserci delle esperienze digitali, ma non saranno la parte principale».

Lo streaming

Le iniziative digitali, infatti, hanno permesso ai teatri di arricchire la propria offerta, per costruire in via indiretta, forme parallele e complementari rispetto a quella “comunità in presenza” che è la comunità teatrale. Per esempio: «Alcuni attori – dichiara Gavaudan – si sono divertiti nel riprogrammare la propria attività e hanno realizzato messinscene registrando dialoghi a distanza o utilizzando green screen virtuali. Altri si sono rifiutati di aderire a rappresentazioni in video perché, secondo loro, l’assenza del pubblico condiziona lo spettacolo teatrale e lo avvilisce».

Aggiunge Longhi: «Le avventure online si sono moltiplicate, e il ricorso allo streaming è stato enormemente potenziato e dilatato. Ma lo streaming non può essere considerato un succedaneo in senso stretto dell’esperienza teatrale, perché il teatro è legato all’unione degli attori che agiscono in uno stesso spazio. Si tratta, semmai di una pallida approssimazione alla “forma spettacolo”».

Nuove forme di spettacolo

Aspetti che dopo la fine dell’emergenza sanitaria sono in parte rimasti diventando uno stimolo alla ricerca di nuove soluzioni per la creazione in presenza. Infatti «Dopo quei mesi di chiusura – afferma Longhi – ci siamo resi conto che il digitale non doveva essere abbandonato, ma poteva diventare uno spazio “altro”, concepito non soltanto per accompagnare il ritorno nelle sale, ma soprattutto per interrogarsi su come il teatro potesse incontrare pubblici nuovi, annullare le distanze geografiche e sperimentare nuove forme di dialogo con gli spettatori intorno all’evento in presenza».

Nonostante ciò, con la riapertura il teatro «ha ritrovato il proprio luogo di incontro e ha recuperato quello a cui era abituato in origine: il rito comune di partecipazione alla rappresentazione – afferma Gavaudan – Certo sulle prime con paura, con diffidenza, increduli di doversi separare dal proprio vicino di poltrona, dal proprio figlio o partner, per obbligo di contingentamento le sale avevano reso praticabili una poltrona sì e una no».

Per la sicurezza dei teatri

Dopo il periodo di chiusura totale nel 2020, la riapertura dei teatri è stata possibile grazie all’adozione di misure per garantire la sicurezza di artisti, personale e del pubblico. «In primis – spiega Gavaudan – venivano realizzati rigidi controlli all’ingresso della sala per il pubblico, poi era obbligatorio utilizzare le mascherine e fornire detergente per le mani negli spazi del teatro. Infine il distanziamento forzato, le frequenti sanificazioni dei luoghi di lavoro e l’areazione degli ambienti».

Uno standard del protocollo gestito anche da comitati costituiti ad hoc dai teatri. «Il Piccolo – dichiara Longhi – ha creato un comitato Covid di cui faceva parte, oltre al direttore e ai dirigenti, anche il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il medico del lavoro, il responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione. Il comitato si riuniva periodicamente al fine di garantire che lo standard dei protocolli venisse mantenuto, se non addirittura, quando e se necessario, inasprito».

A livello economico

In generale, il settore dello spettacolo: «È stato uno dei settori più colpiti in assoluto – spiega Argano – perché hanno chiuso tutti i luoghi di spettacolo». Continua: «Nel 2020 il governo attuò misure in due direzioni. I soggetti che erano destinatari di finanziamenti pubblici non furono privati del finanziamento e il FUS, Fondo Unito dello Spettacolo, venne comunque garantito. L’altra misura riguardò i lavoratori: fu immaginato un contributo di 500 euro, purché si avesse svolto 30 giornate dall’anno precedente».

Successivamente si è lavorato su altri due fronti. «Si è ridotto il requisito dei 30 giorni a 7 giorni e si è allargata la platea dei beneficiari. E furono immaginati dei ristori, cioè delle cifre che potevano intervenire anche su quelle realtà che non avevano un finanziamento pubblico». E confrontando la gestione della pandemia in Italia e nel resto d’Europa: «La mia sensazione – dice Argano – è che noi siamo stati più severi nelle restrizioni rispetto ad altri Paesi che hanno dovuto affrontare delle chiusure. Le riaperture sono state anche più veloci in alcuni casi: per esempio l’Inghilterra ha avuto varie ondate, ma il mondo dello spettacolo è stato assistito maggiormente e le persone sono tornate a teatro più rapidamente che in Italia».

Le soluzioni alternative

Restrizioni che, soprattutto per le modifiche di capienza e sul distanziamento sociale, hanno cambiato la programmazione teatrale. «Il clima di assoluta incertezza – dice Longhi – ha imposto la necessità di lavorare su piani paralleli, vagliando soluzioni flessibili e alternative». Per esempio: «In occasione della Stagione estiva 2021 il Piccolo estese il suo programma dal Chiostro Nina Vinchi fino agli spazi aperti dei Municipi, con particolare attenzione alle sedi dell’Housing sociale. Tutto ciò ha richiesto un costante ripensamento delle scelte, nella consapevolezza che i parametri di riferimento precedenti non erano più applicabili in modo automatico, ma andavano rinegoziati alla luce di una realtà radicalmente mutata».

Il tutto cambiando anche il rapporto con il pubblico. «Una serie di spettatori – sostiene Argano – hanno cambiato qualche loro abitudine. La pandemia era particolarmente accentuata su soggetti fragili, per esempio persone grandi di età, che magari erano anche proprio coloro che erano abituati ad andare a teatro ed erano i principali abbonati».

Un nuovo pubblico

Facendo riferimento alla Stagione 2022/2023 del Piccolo, Longhi spiega: «Gli spettacoli in scena in quel momento nelle nostre sale hanno registrato cifre significative, talvolta sold-out, a testimonianza di una risposta che, superando ogni previsione, si è rivelata incoraggiante, se non addirittura entusiasta». Aggiunge: «Il rapporto con il pubblico ha subito una trasformazione ampia. La difficoltà di fare programmi a lungo termine, l’imprevedibilità legata a possibili interruzioni o rinvii hanno modificato profondamente le abitudini di fruizione: l’abbonamento, inteso come forma di adesione anticipata e continuativa alla stagione teatrale, ha perso in parte la sua funzione, lasciando spazio a una logica più flessibile».

E il rapporto teatro-pubblico risulta trasformato in questi cinque anni. «Si è acuita la volontà di costruire un rapporto solido – riporta Longhi – e continuativo con il pubblico più giovane, attraverso l’attenzione accordata ai giovani artisti. C’era e c’è la volontà di aprirsi alla comunità esterna al teatro, affrontando temi e attivando relazioni la cui esistenza e particolarità non si esauriscono nel teatro e nei suoi meccanismi di produzione e fruizione».

Le collaborazioni post Covid

Inoltre, il Covid ha portato alla creazione di iniziative e collaborazioni che hanno avuto un impatto duraturo sul mondo dello spettacolo. «La pandemia – sostiene Longhi – ha acuito la sensibilità verso il rapporto con la comunità e lo spazio pubblico, che ha portato per esempio all’adesione ad UNLOCK THE CITY!». Un progetto europeo che coinvolge città europee come Milano, Praga, Bucarest e Barcellona con lo scopo di ripensare la città post-pandemica attraverso il teatro e favorire l’integrazione tra le pratiche artistico-teatrali.

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I partner del progetto europeo UNLOCK THE CITY! davanti alla sede del Piccolo Teatro di Milano

Fondamentale anche la riflessione sul tema della sostenibilità «approfondito – riporta Longhi – attraverso l’esperienza di un altro progetto europeo, S.T.A.G.E.S., che vede organizzazioni teatrali e accademie internazionali collaborare insieme a una riflessione su come rivoluzionare il modo in cui il settore culturale affronta il concetto di sostenibilità».

Il Carcano, invece, è stato protagonista di una convenzione con il mondo ospedaliero. «Il nostro teatro – spiega Gavaudan – è in una zona ricca di strutture sanitarie a cui offriamo convenzioni particolari anche in forma di ringraziamento per ciò che ha fatto il personale ospedaliero per tutti noi». Continua: «Al rientro in teatro dopo il Covid il pubblico sembrava terrorizzato dai colpi di tosse in sala, quindi abbiamo instaurato una collaborazione con Ricola, che è diventato nostro partner. Abbiamo distribuito gratuitamente caramelle all’ingresso della sala, questo ha eliminato i colpi di tosse favorendo una maggior tranquillità del pubblico. Permane questa piacevole abitudine ancora oggi».

Le difficoltà dopo cinque anni

Ma dopo cinque anni gli strascichi del Covid risultano essere ancora presenti. «L’intero sistema – afferma Longhi – culturale, economico e istituzionale, nel 2020, si è trovato privo degli strumenti necessari per fronteggiare, in modo adeguato, una crisi che non rientrava nei parametri tradizionali entro cui normalmente si concepisce l’azione pubblica». «La pandemia – afferma Argano – ha messo in luce le debolezze strutturali del settore culturale sulle politiche passive del lavoro, cioè le tutele». Per questo: «La sfida principale del settore – spiega Argano – era, è e continuerà ad essere della sostenibilità economica del settore. A caldo, sono state immaginate delle tutele, ma poi non sono state più finanziate».

«Seppur a distanza di alcuni anni – dichiara Longhi – formulare un giudizio netto sull’efficacia o inefficacia di quelle misure risulta ancora complesso, e forse prematuro: sarà solo l’analisi retrospettiva di quanto realmente accaduto, a consentirci di valutare con lucidità l’impatto concreto di quei provvedimenti». Termina: «La questione più urgente è che si faccia tesoro di quell’esperienza, per cominciare a immaginare, già da ora, sistemi di tutela e supporto che non si limitino a reagire, ma siano capaci di prevenire le fragilità strutturali che una crisi, di qualunque natura, inevitabilmente può portare alla luce».

Le consapevolezze per il futuro

Infine, alcuni aspetti positivi inaugurati con la pandemia sono rimasti nel mondo teatrale anche dopo cinque anni. «Innanzitutto – dichiara Longhi – la consapevolezza della necessità di un rilancio della funzione pubblica del teatro. Come già avvenne alla fine degli anni Quaranta, penso al Piccolo, anche oggi il teatro può e deve tornare a essere luogo generatore e catalizzatore di comunità e di pensiero, capace di rafforzare il senso di coesione sociale e di appartenenza a un “noi collettivo”, fornendo strumenti essenziali per affrontare le incertezze del futuro».

Un aspetto su cui concorda Gavaudan: «Risulta essenziale la voglia di stare insieme, di condividere più di prima, di godere fino in fondo dei momenti collettivi avendone sperimentato la privazione».

Per Longhi sono tre i nodi centrali nella prospettiva post-pandemica: «la valorizzazione dei giovani talenti, bisognosi di concrete palestre di sperimentazione artistica e pedagogica; il crescente interesse verso la sostenibilità, non solo economica e ambientale, ma anche relazionale e artistica; la necessaria e ormai ineludibile dialettica con l’universo digitale».

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