Quest’anno il mondo delle telecomunicazioni sembra non trovar pace.
Se da un lato, Vodafone Italia ha rischiato di lasciare a casa circa 1.000 dipendenti (salvo poi riuscire a trovare un accordo con i sindacati e scongiurare il pericolo tramite pre-pensionamenti, riqualificazioni professionali e uscite volontarie), dall’altra TIM si sta vedendo costretta a vendere la propria infrastruttura di rete, per far fronte a un debito che ha raggiunto la cifra di oltre €30 miliardi.
Gli anni d’oro di Tim (Telecom)
Prima della privatizzazione, avvenuta nel 1997, Tim (o meglio, Telecom) era una società solida e fortemente incentrata sull’innovazione tecnologica, tanto che era addirittura arrivata a fare un’offerta per l’acquisto di Apple, direttamente a Steve Jobs (senza che poi l’accordo si concludesse). Il suo valore all’epoca era di ben €90 miliardi, con una forza lavoro da oltre 120.000 dipendenti.
Il 1999 è l’anno dell’offerta pubblica d’acquisto e scambio (OPAS) promossa da Olivetti. È un momento di svolta nel capitalismo italiano sotto tanti aspetti. Il gruppo guidato da Roberto Colaninno intraprende una scalata ostile, finanziata per gran parte da debito (circa €85 miliardi) e resa possibile a causa del non utilizzo da parte dell’allora Governo del Golden Power (nonostante molti, tra cui Mario Draghi che era direttore generale del Tesoro, si dissero fortemente contrari alla manovra). Nel momento in cui Olivetti e Telecom si fusero assieme, tale debito ricadde proprio sulla stessa Telecom, che non sarebbe più riuscita a liberarsene.
Condizioni di mercato sempre più difficili
A peggiorare la situazione sono state le condizioni del mercato italiano caratterizzato, per una serie di motivazioni (non ultimo l’ingresso da parte di Iliad nel 2018), da prezzi estremamente bassi, soprattutto se rapportati ad altri paesi europei o agli Stati Uniti. Prezzi bassi significa margini bassi: il che rende difficile stare al passo con un debito così elevato che grava sull’azienda.
Tim costretta a vendere a KKR
Tim si è trovata costretta a vendere la propria rete a KKR, società di investimenti statunitense, che ha primeggiato nei confronti della cordata costituita da Macquarie e da Cassa Depositi e Prestiti (controllata dal Ministero dell’Economia). Ancora non si conoscono le cifre precise, ma si parla di circa €20-23 miliardi. Nel frattempo, il Governo italiano si dice pronto a mettere fino a €2.2 miliardi per mantenere una quota di partecipazione di Tim. Perdere un asset strategico così importante sarebbe certamente un brutto smacco per il nostro Paese.