La guerra in Ucraina e la crisi alimentare sono sicuramente correlate: il prezzo del grano tende a salire e le forniture sono bloccate nei porti. Quali sono le cause di questa situazione e chi ne risentirà di più?
Odessa ha un gran valore strategico per l’export e l’import dell’Ucraina, ma da quando la Russia ha invaso il Paese, il porto è stato bloccato, così come quasi tutti gli scali portuali che si affacciano sul Mar Nero. A impedire la partenza delle navi, cariche di grano e di altri prodotti agricoli, è la presenza della flotta russa.
Una volta chiuso il collegamento tra il Mar d’Azov e il Mar Nero, i russi hanno posizionato navi e sottomarini davanti ai porti e hanno impedito ai mercantili di uscire. Si stima che nei porti ucraini ci siano 20 milioni di tonnellate di grano fermi e 84 mercantili a cui i russi impediscono la partenza.
La crisi, quindi, ha origine sicuramente dalla guerra in corso, come testimonia il fatto stesso che il prezzo del grano ha iniziato la sua ascesa fin dalle prime fasi del conflitto. L’Ucraina e la Russia, infatti, coprivano il 30% delle esportazioni di frumento. Insieme producono un terzo del grano mondiale. Dall’Ucraina partivano anche circa il 16% delle esportazioni globali di mais, il 10% dell’orzo e il 42% dell’olio di semi di girasole.
Ad aggravare la situazione, però, è soprattutto la reazione a catena che si è propagata. L’India, secondo produttore mondiale di grano, ha bloccato le esportazioni per tenere sotto controllo i prezzi del mercato interno. Questo potrebbe aggravare la situazione anche in Europa, ma al momento è difficile intravederne le conseguenze, dato che l’Onu si è impegnata a garantire le spedizioni delle riserve bloccate in Ucraina. Secondo l’analisi di Coldiretti, poi, negli ultimi giorni il prezzo sarebbe addirittura sceso del 9%. Si tratterebbe, quindi, di una serie di oscillazioni frutto di una speculazione dei grandi fondi che operano sulla borsa delle materie prime. Negli ultimi 15 anni è successo già altre volte che gli investitori spingessero al limite le oscillazioni del prezzo, nonostante l’offerta mondiale del grano sia rimasta costante.
Per il Consiglio internazionale dei cereali, organizzazione intergovernativa che promuove la cooperazione nel mercato, la produzione di cereali scenderà tra il 2022 e il 2023 di appena il 2% rispetto allo scorso anno, ma sarà comunque la seconda raccolta più ricca di sempre. La produzione mondiale del grano è leggermente in calo per effetto della riduzione negli Stati Uniti, in India e in Ucraina, dove si stima che il raccolto sarà circa il 40% in meno rispetto a quanto previsto in questa stagione. Molti Paesi, però, ne stanno coltivando di più per colmare il vuoto e tra questi c’è la Russia, dove il raccolto è addirittura aumentato.
A fare le spese di questo rincaro ingiustificato dei prezzi, sono sia l’Ucraina che i Paesi più poveri e più dipendenti. L’Egitto, per esempio, importa la maggior parte del suo grano. Ad aprile ha pagato le sue forniture 450 dollari a tonnellata, mentre a febbraio l’aveva pagato 252 dollari.
Il Programma alimentare mondiale prevede che quest’anno le sue spese per i beni alimentari saliranno del 50%. Solo per l’Africa occidentale spenderà 136 milioni di dollari in più.
Per quanto l’Italia non corra gli stessi rischi dei Paesi in via di sviluppo, gli effetti in qualche modo si stanno facendo sentire anche qui. Gli imprenditori e gli artigiani che lavorano cereali e farine vedono costi praticamente raddoppiati rispetto alla fine del 2020 e l’inizio del 2021. Oggi una tonnellata di grano duro supera i 500 euro, mentre una tonnellata di grano tenero per la panificazione è oltre i 400 euro. Questo avrà sicuramente delle conseguenze sui prezzi dei prodotti nel carrello della spesa e sul consumatore finale.
Abbiamo visto come, nonostante la flotta russa stia effettivamente bloccando le navi mercantili, in questo momento a far aumentare il prezzo del grano non è un calo di produzione e di esportazione, bensì un livello eccessivo di speculazione.
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