TERZA PUNTATA: LUCI E OMBRE DI AUNG SAN SUU KYI
- La storia di Aung San Suu Kyi, dalla nascita a Yangon nel 1945 al colpo di Stato in Myanmar nel 2021, passando per gli anni in carcere, le sue vittorie e la strada per la democrazia nel paese.
- Il genocidio della minoranza musulmana dei Royingha in Myanmar, senza una terra e senza diritti.
Buongiorno a tutti,
io sono Giulia Zamponi, giornalista praticante di MasterX, la testata del Master in Giornalismo IULM, e questo è Fuori, il mondo oltre i nostri confini, un podcast che parla di esteri. È giovedì 13 aprile 2023. Benvenuti alla terza puntata. Luci e ombre di Aung San Suu Kyi. Oggi parleremo di uno dei personaggi politici più controversi dei nostri tempi, la leader birmana.
Una vita spesa per cercare e difendere la democrazia per il suo popolo, acclamata da tutti come una combattente gentile e pacifica, fino al 2017, quando inizierà la sua discesa senza freni, verso un punto di non ritorno.
Aung San Suu Kyi nasce a Yangon nel 1945. Il padre Aung San è il generale che ha negoziato l’indipendenza dal Regno Unito nel 1947, assassinato pochi mesi dopo da un oppositore politico. La madre entra così in politica, diventando ambasciatrice in India nel 1960. Suu Kyi si laurea in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia a Oxford, poi continua i suoi studi a New York dove lavora per le Nazioni Unite.
Il suo impegno politico inizia nel 1988 quando rientra in Birmania per accudire la madre malata dopo molti anni trascorsi all’estero. Fonda la Lega Nazionale per la Democrazia, che diventerà il principale partito civile di riferimento nel paese. Il partito promuove un movimento non-violento verso una democrazia multipartitica in Birmania, sostiene i diritti umani, la libertà di parola e la piena libertà dei mezzi di comunicazione, lo Stato di Diritto e l’indipendenza della Magistratura. Quell’anno il paese sarà scosso da un grande movimento di protesta che culminerà nella rivolta 8888 a Rangoon e porterà alle dimissioni del dittatore militare Ne Win, il quale deteneva il potere dal colpo di Stato del 1962. Milioni di dimostranti invadono la Birmania per chiedere la Democrazia e il rispetto per i diritti umani, e per la prima volta, i morti saranno più di 3000.
Nel 1989 arriva la prima condanna senza un processo, in quanto è stata testimone delle violenze dell’esercito nei confronti della popolazione. Proprio in quell’anno il Paese sarà ufficialmente rinominato Myanmar. Nel 1990 l’LND trionfa alle elezioni politiche conquistando l’81% dei seggi, ma i militari si rifiutano di cedere il potere e annullano le elezioni.
Saranno i figli e il marito Michael Aris a ritirare il Premio Nobel per la pace, conferitole nel 1991, poiché lei si trovava agli arresti domiciliari. Investe i soldi del premio in un conto per costituire un sistema sanitario e di istruzione per il popolo birmano. Ritirerà ufficialmente il premio nel 2012.
Viene una prima volta liberata nel 1995 ma rimarrà comunque in uno stato di semilibertà e non potrà lasciare mai il paese perché in tal caso le sarebbe negato il rientro. Dal 1996 al 2003, più volte è stata l’oggetto di agguati dove vennero massacrati oltre 70 attivisti per la democrazia, ma la leader birmana scamperà agli attacchi. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea faranno grandi pressioni sul governo del Myanmar per la sua liberazione, ma le furono rinnovati gli arresti per vari anni consecutivi.
Il referendum per l’approvazione della nuova costituzione del Myanmar nel 2008 è una messinscena, con intimidazioni, brogli e irregolarità. Riservava all’esercito chiamato Tatmadaw, un quarto dei seggi del Parlamento e i ministeri di Interni, Difesa e Affari di Frontiera. Nel 2010 verrà eletto Presidente della Repubblica Thein Sein, ex generale, primo oppositore di Suu Kyi. Si prospetta uno scenario oscuro, con l’impossibilità di un cambiamento. Ma così non fu: quell’anno fu definitivamente liberata, dopo quasi 15 anni trascorsi in carcere o agli arresti domiciliari tra il 1989 e il 2010.
Il suo partito vincerà le elezioni suppletive del 2012 che apriranno a Suu Kyi le porte della Camera bassa del Parlamento. Dopo le elezioni, il Governo di Thein Sein ha realizzato faticosamente una serie di riforme inimmaginabili sino a pochi anni prima: liberazione di numerosi prigionieri politici e allentamento della censura sui mezzi di comunicazione; progressiva apertura del Paese a un’economia di mercato, agli investimenti esteri e alla cooperazione internazionale allo sviluppo.
Il suo successo continua nel 2015 con un’altra vittoria alle elezioni politiche. La giunta militare mostra i primi segni di apertura verso un processo di democratizzazione con la progressiva rinuncia di parte del proprio potere politico, a causa di anni di isolamento internazionale e il crescente peso economico delle sanzioni da parte dell’Occidente per la violazione dei diritti fondamentali. Suu Kyi verrà eletta ministro degli Esteri. Verrà poi nominata consigliere di Stato, una posizione creata appositamente per lei che la renderà de facto la leader del paese.
Rimarrà in carica fino al colpo di stato nel 2021 promosso dalle forze armate in protesta contro l’esito delle elezioni generali del novembre 2020 vinte nuovamente dalla Lega Nazionale per la Democrazia. The lady, così soprannominata, sarà arrestata con le accuse di corruzione, violazione del segreto di Stato, delle leggi sui disastri nazionali e sull’emergenza per il coronavirus.
La vera grande macchia nella carriera politica di Au San Suu Kyi è il silenzio e il non prendere una posizione di condanna verso la giunta militare birmana che è stata accusata di genocidio nei confronti della minoranza musulmana dei Rohingya. Questa comunità si è stabilita sulle coste birmane verso la metà dell’800, concentrandosi in un’area interna dello Stato del Rakhine. Nel 2017 sono state commesse violazioni dei diritti civili, massacro e messa in fuga di un intero popolo. Alla leader sono state rivolte critiche severe per aver ignorato la crisi e per non essere intervenuta quando la questione fu sottoposta al giudizio mediatico e politico internazionale. Proprio per questo, Amnesty International le ha revocato il premio “Ambasciatore della coscienza”, accusandola di non aver sufficientemente salvaguardato i diritti umani nel suo Paese.
Nel 2019 Suu Kyi respinge ogni accusa davanti alla corte penale internazionale dell’Onu all’Aja e nega che si sia trattato di un genocidio, come invece si sostiene nel report presentato dal Gambia. UPSOUND
“Purtroppo il Gambia ha presentato alla Corte un quadro fattuale incompleto e fuorviante sulla situazione dello Stato di Rakhine in Myanmar. Tuttavia è della massima importanza che il tribunale valuti in modo spassionato e accurato la situazione sul campo, che è complessa e non di facile comprensione”.
Suu Kyi ha sacrificato la sua libertà e la sua famiglia in nome della lotta per la democrazia per il suo paese. Da sempre un’eroina dai metodi non violenti per conquistare la pace, adesso è criticata duramente dalla comunità internazionale. Il mondo si domanda: era una santa prima ed è diventata una traditrice adesso? È un personaggio politico molto intelligente che sta nascondendo i crimini di guerra? Solo il tempo lo dirà.
Si conclude qui questa puntata, grazie per aver seguito Fuori! Appuntamento alla prossima settimana con le notizie dal mondo!