SECONDA PUNTATA: LE PIAZZE IN FIAMME
- Manifestanti in piazza in Israele e in Francia a confronto
- Bibi Netanyahu ha bloccato la protesta della giustizia
- La riforma delle pensioni di Emmanuel Macron va avanti
Buongiorno a tutti,
io sono Giulia Zamponi, giornalista praticante di MasterX, la testata del Master in Giornalismo IULM, e questo è Fuori, il mondo oltre i nostri confini, un podcast che parla di esteri. È giovedì 6 aprile 2023. Benvenuti alla seconda puntata. Oggi parleremo delle piazze di protesta in Israele e in Francia a confronto.
Proteste infuocate di piazza in Israele e in Francia. Due riforme che i manifestanti vogliono bloccare a tutti i costi. Gli israeliani vogliono evitare la distruzione delle istituzioni fondamentali che servono a controllare il potere politico. I francesi vogliono far valere un loro diritto acquisito. La piazza di Gerusalemme, pacifica, è uscita vincitrice e ha costretto il primo ministro Benjamin Netanyahu a cedere. La piazza di Parigi, violenta all’insegna del populismo sfrenato, ne è uscita perdente invece ed Emmanuel Macron non si è arreso.
Dopo 13 settimane di manifestazioni, Bibi Netanyahu ha bloccato la riforma della giustizia, almeno temporaneamente, fino alla prossima sessione della Knèsset, cioè il Parlamento monocamerale di Israele, dopo la Pasqua Ebraica. In cambio della pausa, ci sarebbe la creazione di una Guardia Nazionale civile di volontari alle dirette dipendenze del ministro della sicurezza nazionale, Ben Gvir. La riforma prevede l’eliminazione del potere della Corte Suprema di abolire le leggi approvate dal Parlamento. Ovvero, se la Corte Suprema decide di annullare una legge approvata dal parlamento, quest’ultimo può votare di nuovo per ignorare la decisione della Corte Suprema e mantenere la validità della legge. Però, in questo modo si verrebbe a creare ancora più squilibrio, potenzialmente pericoloso per la democrazia.
La Corte suprema ha un ruolo molto importante nella vita politica di Israele perché il paese non ha una costituzione, ma 13 Leggi fondamentali. Per questo soprattutto a partire dagli anni Novanta, la Corte suprema israeliana ha assunto il ruolo di principale contrappeso al potere esecutivo.
Quella recente è la crisi politica peggiore degli ultimi decenni e ruota intorno alla figura del primo ministro, che ha creato il governo più a destra della storia del paese ed è accusato di conflitto di interessi perché è anche imputato penale per corruzione, frode e abuso di potere. C’è una profonda preoccupazione nell’aria, per l’idea della nascita di una milizia privata nelle mani del ministro, che verrà usata molto probabilmente contro la popolazione araba e i laici israeliani.
In Francia invece, la piazza è incendiaria, letteralmente. I trasporti pubblici sono fermi, cassonetti bruciati, panchine e biciclette danneggiate. I netturbini non passano da giorni e le strade di Parigi sono piene di rifiuti. Le proteste che vanno avanti da gennaio, non hanno intenzione di arrestarsi. “La place est à nous”, “la piazza è nostra” continuano a gridare manifestanti riuniti in cortei spontanei e improvvisati, che protestano contro la riforma delle pensioni di Emmanuel Macron.
La réforme des retraites innalza l’età minima pensionabile da 62 a 64 anni. Ma prevede anche l’aumento delle pensioni minime e l’abolizione delle eccezioni che consentono ad alcune categorie di lavoratori di uscire dal sistema lavorativo prima di altri. La legge dovrebbe entrare completamente in vigore dal 2030: fino ad allora ogni anno verrebbe aumentata l’età pensionabile di 3 mesi, fino ad arrivare ai 64 anni, in un aumento progressivo. Da mesi le proteste hanno bloccato alcuni settori produttivi, le scuole, la raccolta dei rifiuti.
Ma perché i francesi sono così tanto infuocati? Il governo francese ha voluto approvare la riforma senza passare dal voto dell’Assemblée National. La prima ministra Elizabeth Borne ha ricorso al comma 3 dell’articolo 49 della Costituzione francese, cuore del presidenzialismo francese impostato da Charles De Gaulle che ha garantito decenni di stabilità governativa nel paese. Consente a un primo ministro di approvare un testo di legge in materia finanziaria o di finanziamento al welfare senza passare da una votazione parlamentare, con l’approvazione del consiglio dei ministri.
Il meccanismo del 49.3 permetteva all’opposizione di presentare mozioni di sfiducia contro il governo: ne sono state presentate due che il governo è riuscito a superare con uno scarto di pochissimi voti. Il governo di Elizabeth Borne è salvo quindi, con solo 9 voti di scarto, ma questo segna l’inizio della fine del macronismo.
Si conclude qui questa puntata, grazie per aver seguito Fuori! Appuntamento alla prossima settimana con le notizie dal mondo!