Effetto Festival: le manifestazioni culturali fanno bene all’economia

Non è ancora possibile trovare un luogo dove mangiare libri, bere concerti e assaporare quadri. Forse un giorno la sperimentazione culinaria ci porterà a provare simili esperienze. Nonostante ciò, si può affermare con tranquillità che con la cultura si mangia e ci si arricchisce pure.

Parlare di arricchimento culturale in termini di formazione della persona e nobilitazione dello spirito risulta abbastanza naive in un periodo storico come questo, in cui siamo costretti, in ogni ambito della società (università, lavoro, famiglia, istituzioni), a fornire numeri, risultati e percentuali in relazione a un qualsiasi tipo di crescita.
Allora, è più interessante la discussione sul valore economico della cultura, cioè di quanto manifestazioni, mostre, concerti e festival facciano bene all’economia delle città che li promuovono.
Il primo che ha cercato di fare chiarezza sulla questione è stato, nel 2007, Guido Guerzoni, docente dell’università Bocconi di Milano.
Nella ricerca “Effetto Festival”, Guerzoni ha tentato di calcolare le ricadute economiche sul territorio delle manifestazioni culturali.
Non è stato un lavoro facile, perché l’accezione di festival culturale non è fissata da alcun canone.
Fra le centinaia di manifestazioni esistenti, dopo un’attenta selezione, l’indagine si è concentrata su un campione di 27.
Sono stati presi in esame il periodo di svolgimento, il palinsesto dell’offerta, le politiche di pricing, i luoghi, le convenzioni e i servizi, l’organizzazione, il budget, i finanziatori, il pubblico e la comunicazione.
Nonostante gli strumenti messi a disposizione dalle scienze economiche, però, le variabili sono così tante che l’unica conclusione generale a cui il docente è giunto è che “gli impatti economici positivi generati da queste manifestazioni legittimano l’importante sostegno che le fondazioni, gli sponsor e le amministrazioni stanno accordando loro”.
In altre parole, Guerzoni scrive che con i festival si mangia. Un esempio? Il Festival della Mente di Sarzana, che si tiene ogni anno in Liguria.
Nel 2007, anno in cui si è svolta la ricerca, il ritorno economico della manifestazione è stato di oltre 3 milioni e 600mila euro, a fronte di un investimento di circa mezzo milione. Conti alla mano, l’impatto generato è stato sette volte maggiore rispetto al valore iniziale.
L’obiezione che si potrebbe fare è che il 2007 è passato da tempo e che ancora non c’era la crisi economica. Vero, ma il Festival della Mente celebrerà a settembre la sua XII edizione, con una media di presenze negli ultimi anni che si attesta sulle 40mila persone. C’è da supporre, quindi, che la ricaduta economica si sia ripetuta nel tempo.
Se un unico caso non può farci gridare al miracolo economico dei festival culturali, basta chiedere alla città di Torino quanto sia importante il suo storico Salone.
L’anno scorso la Camera di Commercio del capoluogo piemontese ha presentato uno studio sull’impatto economico dell’edizione 2013 del Salone del Libro.
La ricaduta economica diretta è stata di 20,7 milioni di euro. In questa cifra sono inclusi i costi sostenuti dai visitatori (spese per biglietti, alberghi, ristoranti, bar, shopping e intrattenimento) e quelli sostenuti da organizzatori e da espositori, come per esempio l’allestimento degli stand.
Ammontano invece a 32,3 milioni di euro gli effetti indiretti e indotti, cioè le spese delle istituzioni e delle imprese per far fronte alla domanda e quelle che derivano successivamente dal mutato livello di reddito dei residenti.
Complessivamente l’impatto economico è stato di oltre 53 milioni di euro. In parole povere per ogni euro di spesa sono stati generati 43,3 euro in termini di effetti complessivi, con una crescita rispetto all’ultima rilevazione (quella dell’ edizione 2009) del +1,2%.
A questo punto, pare evidente come ci siano esempi di festival culturali che, ciascuno in base alla propria rilevanza, generano valore economico.
Ma se organizzare un festival non sempre è facile e non sempre può portare a esperienze di successo, ci sono manifestazioni meno strutturate, come i concerti.
Il 24 maggio 2012, sempre a Torino, si sono esibiti i Coldplay. È bastato uno show di un paio d’ore e che ha visto la band e i fan presenti sotto la Mole antonelliana per un massimo di sette ore, per generare un impatto economico, calcolato sempre come somma di effetti diretti, indiretti e indotti, stimato tra gli 11 e i 13 milioni di euro (dati Camera di Commercio di Torino).
Se non bastassero neanche questi esempi a far capire che la cultura ha ricadute economiche sul territorio, potremmo citare le manifestazioni enogastronomiche che richiamano migliaia di persone o alcune mostre d’arte, diventate veri e propri eventi di massa.
Chi crede che la cultura sia il primo settore dove sforbiciare per recuperare risorse, dovrebbe tener presente tutto ciò.
La cultura crea ricchezza perché affama e chi ne è affamato è ben disposto a pagare per saziarsi.

ADRIANO PALAZZOLO

Pubblicato il 29/03/2015

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