In Lazio, nel cuore dell’Agro Pontino, una pratica di sfruttamento lavorativo che rasenta la schiavitù. È questo ciò che emerge dalle indagini per caporalato che coinvolgono – ormai da cinque anni a questa parte – Renzo Lovato, un imprenditore agricolo del posto. Sotto indagine anche suo figlio, Antonello Lovato, noto per aver abbandonato il bracciante indiano Satnam Singh dopo che aveva perso il braccio destro in un incidente sul lavoro nella sua azienda agricola. Una tragica vicenda che si è risolta nella morte di Satnam e che ha riaperto il dibattito sullo sfruttamento dei lavoratori extracomunitari nel settore agricolo.
Il “metodo Lovato”: come funziona lo sfruttamento nei campi laziali
Come riporta il Corriere della Sera, il sistema di sfruttamento definito “metodo Lovato” prevede l’assunzione di braccianti solo per il tempo necessario a maturare il diritto al sussidio di disoccupazione, per poi licenziarli e continuare a impiegarli in nero con metà paga. L’altra metà verrebbe infatti coperta dall’INPS, trasferendo così il peso della truffa sui lavoratori stessi, che rischiano di essere incriminati in caso di indagine. Con conseguenza addirittura più pesanti di quelle che ricadrebbero sul datore di lavoro.
Lo stato delle indagini
Per questo racket di caporalato, Renzo Lovato è in attesa dell’udienza preliminare che deciderà sul suo rinvio a giudizio. Le accuse includono il pagamento a cottimo, la violazione delle norme sull’orario di lavoro (con turni fino a 48 ore settimanali rispetto alle 39 previste), e la mancanza di pause e straordinari retribuiti.
Inoltre, Lovato è accusato di violare le norme sulla sicurezza sul lavoro, omettendo controlli sanitari e non garantendo le condizioni igieniche minime. I lavoratori, spesso stipati in furgoni e alloggiati in baracche degradate con un affitto di 100 euro, sono infatti costretti a lavorare anche sotto la pioggia. Chiunque rifiuti queste condizioni – incluso il falso licenziamento – perde subito il lavoro.
L’ombra della criminalità organizzata
Secondo Paolo Bortoletto, attivista locale, il territorio sta subendo una «mafizzazione dei rapporti di lavoro». Un meccanismo parallelo a quello del radicamento della camorra nell’Agro Pontino, nota anche per lo smaltimento illecito di rifiuti. Questo contesto di illegalità e sfruttamento ha portato la task force voluta dall’ex procuratore aggiunto di Latina, Carlo Lasperanza, a contestare a Lovato e ad altri 40 imprenditori il reato di caporalato, ben più grave della semplice truffa.
Agrilovato: l’azienda sotto accusa
Agrilovato, la ditta della famiglia di origini venete, ha visto un boom negli ultimi trent’anni. Oggi, l’azienda dichiara solo quattro dipendenti ufficiali su oltre cinque ettari di terreno, con un fatturato di 1,166 milioni di euro e utili per 62 mila euro. I costi per il personale ammontano a 115 mila euro.
Dopo l’incidente che ha tranciato il braccio di Satnam Singh, Renzo Lovato ha attribuito la responsabilità al lavoratore, nonostante la proprietà del terreno sia del figlio Antonello. «È stata una leggerezza del lavoratore», ha dichiarato, rendendo esplicita la sua partecipazione nella gestione del terreno del figlio. Quest’ultimo, unico dipendente della sua ditta, ha scaricato il lavoratore 31enne a casa anziché portarlo in ospedale. Lovato Junior aveva anche ricevuto i fondi comunitari per l’agricoltura, dichiarando un singolo trattore come mezzo di produzione.