Troppo vecchio e troppo nero per interpretare Annibale: la scelta di Denzel Washington quale protagonista del nuovo film Netflix ha scatenato non poche polemiche in Tunisia. Sul caso sono intervenuti i giornali, i social media e pure alcuni parlamentari. Il generale cartaginese – lamentano i critici – era un giovane bianco semita. E la scelta di un attore nero e avanti con gli anni rappresenterebbe un «falso storico». Una forma di revisionismo – diremmo in Occidente – compiuto in nome del politicamente corretto.
La carnagione e l’età
Nato nel 247 a.C. a Cartagine, vicino all’odierna Tunisi, Annibale è considerato uno dei più grandi generali dell’antichità. Celebre per la sua vittoria contro i romani a Canne, nella Seconda guerra punica. A dire il vero, il colore della sua pelle non è noto e il condottiero visse in un’epoca di grandi imperi e mescolanze tra popoli. Ma buona parte degli storici concorda che fosse di origine fenicia (e dunque non nero), cioè che fosse nativo della regione che si estende sull’attuale Libano e in Siria. E per quanto riguarda l’età, Annibale aveva appena 29 anni quando valicò le Alpi con esercito ed elefanti, mentre l’attore il 28 dicembre ne compirà ben 69.
Le polemiche
La scelta di Denzel Washington per il film diretto da Antoine Fuqua rappresenterebbe dunque «un errore storico». Così lo ha definito l’organo di informazione tunisino in lingua francese La Presse, accusando Netflix di farsi «portavoce della cultura woke e dell’afrocentrismo» e di non esitare «a falsificare i dati storici dei paesi dell’Africa del nord». Mentre simili proteste montano sul web e sui social, in Tunisia sono già 1300 le persone che hanno firmato la petizione online che esorta la piattaforma di streaming a «cancellare il suo pseudo-documentario». E che chiede al ministero della Cultura di «intervenire contro il tentativo di rubare la nostra storia».
Ma la polemica è arrivata fino alle aule del Parlamento, scatenando la reazione di Yassine Mami, deputato e presidente della commissione Turismo, Cultura e Servizi. «Bisogna prendere posizione e difendere l’identità tunisina», ha chiesto al ministro della Cultura Hayet Ketat Guermazi. «Non abbiamo informazioni sul contenuto. C’è il rischio di una falsificazione della storia». Al che il ministro ha risposto che «si tratta di fiction», che Netflix ha il «diritto» di fare quel che vuole e che, in ogni caso, il governo della Tunisia non può farci nulla. La speranza, quantomeno, è che si aprano delle opportunità per il paese. «Spero che decidano di girare almeno una sequenza da noi e che questo sia pubblicizzato», ha dichiarato il ministro. «Vogliamo che la Tunisia torni a essere una piattaforma produttiva, dove si girano film stranieri».
Tra revisionismo e blackwashing
Per Netflix non si tratta certo della prima polemica di questo tenore. Lo scorso aprile un avvocato presentò una denuncia, accusando la docuserie Regina Cleopatra di voler «cancellare l’identità egiziana». Per il ruolo di protagonista era stata scelta Adele James, un’attrice dall’aspetto troppo distante da quello della regina. Considerando che Cleopatra – secondo diversi studiosi – aveva la pelle chiara.
In Occidente parleremmo di “blackwashing”. Un termine inglese che si riferisce a una tendenza molto diffusa nel mondo dello spettacolo: quella di scegliere attori neri e di inserire personaggi neri solo per esibire una qualche forma di inclusività. Per citare un altro caso, nel 2022 la Disney finì al centro di una polemica per il remake live-action della Sirenetta. A sollevare le critiche fu la scelta di Halle Bailey nel ruolo di protagonista: un’attrice giudicata da molti troppo nera rispetto al personaggio del cartone animato. Simili polemiche si scatenarono anche per il live-action su Biancaneve, interpretata da una donna di carnagione olivastra, e per quello su Peter Pan, in particolare per il colore della pelle dell’attrice scelta per il ruolo di Trilli.