Giustizia all’italiana. Il 23 novembre 2023 si è conclusa dopo mezzo secolo la causa civile più longeva d’Italia. Iniziata nel lontano 1973 per una disputa sui confini tra demanio marittimo e terreni privati, la causa partiva dall’alluvione che colpì Venezia nel 1966.
La sentenza della Cassazione ha posto la parola fine a una controversia infinita. Finalmente riconosciute le ragioni dei proprietari dei terreni che si ritenevano espropriati ingiustamente di una fetta delle loro proprietà.
Ma è possibile che in Italia ci vogliano 50 anni per decidere su questioni giuridiche che dovrebbero essere tutto sommato semplici? E con nuovi eventi alluvionali ogni anno c’è il rischio di aprire altre dispute ultradecennali?
La sentenza più lunga della storia italiana
La sentenza da mezzo secolo, come già anticipato, iniziò dalla devastante alluvione che nel novembre 1966 colpì la laguna di Venezia, provocando l’inondazione di vaste aree di terreno agricolo nella zona del Cavallino, allora territorio comunale di Venezia. Il livello dell’acqua raggiunse i 194 cm, evento passato alla storia come Aqua Granda.
In seguito al disastro, nel 1973 l’amministrazione marittima avviò l’iter per delimitare nuovamente i confini tra la spiaggia demaniale e i terreni di proprietà privata retrostanti. Alcuni proprietari contestarono le decisioni prese. Secondo loro, le aree demanializzate non presentavano più le caratteristiche morfologiche di arenile.
Un finale agrodolce
Da lì partì una controversia legale protrattasi per 50 anni. Dopo la sentenza di rigetto del Tribunale di Venezia nel 1992, la causa passò in appello fino ad arrivare in Cassazione. Molti dei legali originari sono nel frattempo deceduti o andati in pensione, lasciando il testimone ai colleghi più giovani.
Solo il 23 novembre 2023 la Cassazione ha posto la parola definitiva sul caso, dando finalmente ragione ai proprietari privati. Ci sono voluti 50 anni per stabilire un confine: tempi inaccettabili. Ma come si muove la giustizia di oggi, rispetto a quella di 50 anni fa?
I tempi della giustizia oggi
La sentenza da mezzo secolo è un caso limite, ma non così infrequente nel nostro Paese. I ritardi della giustizia continuano ad essere una piaga che rallenta lo sviluppo economico e scoraggia gli investimenti esteri.
Guardando però ai dati diffusi di recente dal Ministero della Giustizia, sembra intravedersi uno spiraglio di speranza. Nel primo trimestre del 2023, rispetto allo stesso periodo del 2022, le pendenze civili sono calate dell’1,6%. Quelle penali addirittura del 3,2%, raggiungendo i livelli minimi dall’inizio delle rilevazioni statistiche.
Sono segnali confortanti ma non ancora sufficienti. Per ottenere un impatto concreto, è necessario velocizzare in maniera decisa lo smaltimento dell’arretrato. L’obiettivo è ridurre drasticamente il numero di procedimenti che superano i termini previsti dalla legge Pinto, che definisce la “ragionevole durata” dei processi.
Le riforme annunciate dalla ministra Cartabia prima e dal ministro Nordio poi sembrano andare nella giusta direzione, snellendo le procedure ed evitando istruzioni caotiche. Ma tra disegno di legge e attuazione concreta, considerati i tempi della politica italiana, potrebbero passare anni. Serve un cambio di passo deciso per accorciare i tempi della giustizia. Altrimenti casi come la sentenza cinquantennale rischiano di non restare un’eccezione.