«Mio nonno fece il partigiano, come posso ricostruire la sua storia?»

«Mio nonno fece il partigiano, ma io non so nulla della sua storia. Come posso conoscerla ora che lui non c’è più?». Giorgia (nome di fantasia) si pone questa domanda da molto tempo. Suo nonno ha militato nelle fila della Resistenza, ma della sua esperienza conosce solo qualche dettaglio. Non l’ha mai sentito parlare di quel periodo. È stata la nonna a raccontarle alcuni episodi, ma la memoria che comincia a zoppicare e i molti anni passati non aiutano.

Giorgia non è l’unica a porsi questa domanda. E trovare una risposta non è facile. Chi aveva partecipato alla Resistenza difficilmente raccontava e ancor più difficilmente scriveva. Chi era stato vittima o testimone tendeva soprattutto a voler dimenticare.

Ricostruire la storia di un partigiano significa ricomporre un puzzle i cui pezzi sono sparpagliati. Alcuni sono soltanto da trovare, altri potrebbero essere andati persi. Quando le informazioni di partenza sono poche e imprecise, tramandate oralmente di generazione in generazione, le fonti d’archivio potrebbero contribuire ad aggiungere qualche tassello. Il professor Giuseppe Milazzo, storico della Resistenza esperto del territorio savonese, ha delineato una mappa da seguire per orientarsi in questo labirinto scomposto.

Dal racconto orale alla parola scritta

«In molte zone non esiste una vera e propria storia della Resistenza approfondita», spiega Milazzo. «Sono stati pubblicati dei libri, ma si tratta di testi scollegati tra loro, frutto della memoria di persone che, oggi, hanno una certa età e che potrebbero non ricordare correttamente». Solo in qualche rarissimo caso, a scrivere è chi ha vissuto una vicenda in prima persona.

Queste testimonianze hanno origine da fonti orali, raccontate a distanza di molti anni e da un punto di vista personale. Bisogna quindi prenderle con le pinze: «Spesso – precisa il professore – subentrano problemi privati, che spingono a tacere determinati aspetti e a ingigantire eventi o dettagli che in realtà non hanno particolare rilievo».

1. Archivio di Stato

Consultare l’archivio di Stato cittadino è il primo passo da compiere per ricostruire la storia di un partigiano. Qui sono conservati diversi fascicoli, a partire da quelli della categoria A8, che raggruppa «i cosiddetti sovversivi. Si tratta di persone sorvegliate già negli anni Venti e Trenta, prima dell’instaurazione della dittatura», spiega Milazzo.

L’archivio di Stato cittadino è la fonte da cui partire per ricostruire la storia di un partigiano

A questi si aggiungono i fascicoli dei processi svolti durante il ventennio fascista e di quelli che ebbero luogo nei Tribunali del Popolo tra il 1945 e il 1946, subito dopo la fine della guerra. Di questi processi, nell’archivio di Stato si trovano anche «gli atti istruttori, i verbali degli interrogatori e le deposizioni dei familiari delle vittime», sottolinea il professore.

2. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea

Se non si trovano nell’archivio di Stato, molte carte inerenti ai processi possono essere custodite nell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea (ISREC). «Qui sono conservate soprattutto le sentenze dei Tribunali del Popolo», chiarisce Milazzo. Questi documenti contengono «informazioni preziose per ricostruire episodi che, raccontati a distanza di anni, potrebbero risultare distorti. I fascicoli dell’ISREC, infatti, rappresentano una testimonianza in presa diretta di ciò che accadde a pochi mesi dalla Liberazione».

3. Casellario politico centrale

Il casellario politico centrale di Roma completa le cartelle dei sovversivi presenti negli archivi di Stato cittadini. «Spesso succedeva che la questura di una città aprisse un fascicolo presentando una denuncia», spiega Milazzo.

Uno dei fascicoli conservati nel casellario politico centrale di Roma

«Il procedimento proseguiva fino alla condanna, al confino o da parte del Tribunale Speciale. Il ministero dell’Interno, quindi, apriva un dossier sulla persona in questione e le carte erano spedite dal casellario politico centrale di Roma al comune di residenza del sovversivo. Perciò, di solito, se in un archivio di Stato cittadino è conservato un documento, al casellario si trova il resto del fascicolo».

Altre carte consultabili sono quelle redatte dopo la Liberazione, quando si presentava la domanda per conferire una medaglia o un’onorificenza a un ex partigiano.

4. Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti

Un’altra fonte è l’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti (ANPPIA), che «negli anni Settanta si occupava di recepire le domande di quegli antifascisti che desideravano avere una pensione», afferma Milazzo.

In alcuni casi, si trattava di persone il cui nome non compariva in nessun documento, perciò il ministero richiedeva informazioni alla prefettura e alla questura. «Questi dati erano poi trasmessi all’ANPPIA – sottolinea il professore -, ma il problema è capire dove sono conservati oggi i fascicoli. Può capitare, per esempio, che i documenti fossero originariamente tenuti da chi presidiava l’associazione a livello locale e che dopo la sua morte siano passati agli eredi».

5. Archivi parrocchiali e privati

In alcuni casi, anche gli archivi parrocchiali possono rivelarsi una fonte utile. «Spesso, i parroci del periodo resistenziale annotavano ciò che avveniva nei loro paesi sui diari, ma oggi molti preti non permettono di consultarli», dichiara Milazzo.

Negli archivi parrocchiali si possono trovare alcune informazioni annotate nei diari dei parroci della Resistenza

Agli archivi parrocchiali si aggiungono quelli privati. «Può capitare che negli armadi di casa siano ancora conservati dei documenti, soprattutto se legati a persone che hanno avuto un ruolo di rilevanza nella Resistenza», precisa il professore.

Consultare le fonti con occhio critico

La ricostruzione del passato partigiano di un proprio antenato richiede tempo, pazienza e a volte anche un po’ di fortuna. «È fondamentale cercare in più direzioni, per mettere insieme i tanti pezzi di un puzzle più grande», spiega Milazzo, sottolineando la necessità di «interrogarsi su chi scrive, per capire se la testimonianza è il più possibile oggettiva o se, invece, nasconde una visione politica che può falsare i fatti».

Alla parzialità dei documenti si può aggiungere un secondo problema: «alcune carte sono state buttate via, spesso per mancanza di attenzione e incuria. A volte, però, si tratta di casi in cui i fascicoli sono stati eliminati intenzionalmente, per nascondere nomi o avvenimenti».

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