Un processo a porte aperte. Lo ha deciso lei, consapevole, consenziente. Gisèle Pelicot ha finalmente riottenuto la possibilità di scegliere e ha messo in atto questo suo diritto per dimostrare che «non sono io a dovermi vergognare, vergognatevi voi».
I fatti
Una famiglia come tante. Tre figli, sette nipoti e cinquant’anni di matrimonio. Una vita passata nel Sud della Francia, a Mazan, dove i coniugi Pelicot hanno costruito la loro «normalità». Una normalità che, però, ha acquisito un nuovo volto da quando accanto al nome di Mazan è comparso il sostantivo “stupri,” in francese le viols de Mazan. Sì, al plurale. Perché la storia di Gisèle Pelicot e delle violenze che ha subito, coprono un arco temporale di nove anni, dal 2011 al 2020.
Nove lunghi anni, in cui per più di duecento volte la casalinga dai capelli rossi è stata stuprata da decine di uomini. Tradita da chi, cinquant’anni prima, aveva giurato che l’avrebbe amata e rispettata: suo marito, Dominique Pelicot. Che non chiameremo mostro perché Pelicot non è altro che un uomo, che con lucidità aveva ideato un piano. Tutte le sere sbriciolava nel cibo della moglie benzodiazepine. Un farmaco utilizzato comunemente come ansiolitico e calmante. Tuttavia, utilizzato dal monsieur per drogare la moglie e farla stuprare da altri uomini. Sottomissione chimica. Chissà se prima del 2020 la Signora Pelicot aveva mai sentito anche solo parlare di questa “pratica”. Dal 2 novembre sicuramente sì.
Quel giorno Gisèle Pelicot fu convocata in commissariato dove le fanno descrivere suo marito, la sua vita con lui e poi le mostrano una foto. «Non ho gli occhiali e subito non riconosco la donna sul letto. Faccio fatica a riconoscermi, sono vestita in un certo modo. Sono inerte, addormentata, e mi stanno violentando.»
Scopre così, la signora di Mazan, che gli inquirenti avevano cominciato a indagare su suo marito dopo averlo fermato per aver fatto alcune fotto “sotto la gonna” a diverse donne al supermercato. Che poi l’uomo mandava in una chat intitolata a son insu, o “a sua insaputa”. Da qui gli inquirenti hanno scoperchiato un vaso di Pandora, rivenendo nel computer di Pelicot circa 4 mila foto e video di stupri, meticolosamente conservati in una cartella rinominata: abus. Stupri subiti in una decade da sua moglie e compiuti da più di ottanta uomini, dei quali cinquantuno identificati e arrestati.
Il quotidiano La Provence ha titolato “la banalità del male” mettendo in prima pagina i volti sfocati degli stupratori. Un Camionista, un pensionato, un vigile del fuoco, un ex detenuto sieropositivo, un giornalista, un infermiere. Mariti, padri e figli. Uomini “banali,” dei monsieur tout-le-monde, di un’età compresa tra i 26 e i 74 anni, capaci del più vile dei gesti: abusare di una donna drogata, inconsapevole. Come un fantoccio senza vita su di un letto. Tutto orchestrato da Dominique Pelicot, suo marito, padre dei suoi figli e nonno dei suoi sette nipoti.
Il processo
A settembre è cominciato il processo ad Avignone e Gisèle Pelicot ha perso solo un giorno di udienza. In Francia è diventata un’eroina nazionale. Il suo volto è simbolo della “cultura dello stupro” ancora troppo radicata, il suo nome è uno slogan sulla bocca delle manifestanti: merci Gisèle, je suis Gisèle.
La settantenne minuta di Mazan è balzata alla cronaca anche per la sua coraggiosa decisione di rendere il dibattimento pubblico per sensibilizzare la società sulla sottomissione chimica. «Spero che il giorno in cui una donna si sveglierà al mattino senza ricordare cosa ha fatto il giorno prima, forse penserà alla mia testimonianza». Durante il processo il signor Pelicot, ora ex marito di Gisèle ma di cui lei ha voluto mantenere il cognome, ha dichiarato «avevo dei bisogni che ho soddisfatto da egoista e me ne vergogno. Sono uno stupratore, ma lo sono quanto gli altri. Conoscevano lo stato di mia moglie prima di venire a casa, sapevano tutto, non possono negare».
Nel frattempo il sito su cui l’uomo organizzava gli incontri, Coco.fr, è stato chiuso. Non chiedeva mai denaro, ma pretendeva che i clienti si spogliassero in cucina, si lavassero, eliminassero ogni traccia di profumo o tabacco e acconsentissero ad essere filmati. La sentenza è attesa il 20 dicembre e per Dominique Pelicot è stata chiesta la massima pena di vent’anni. Per gli altri cinquanta imputati tra i quattro e i tredici anni.
Oggi Gisèle continua a parlare in tv, ai giornali e sui social media perché come ha detto lei «se la Signora Pelicot ce l’ha fatta, possono farcela anche le altre donne nella mia stessa situazione».