
Non supera l’esame di ammissione alla Sorbona. Beve whisky. Ha un cane lupo gigante di nome Walter. Guida velocissime macchine sportive e, all’età di soli diciotto anni, scuote la borghesissima società francese degli anni 50 con il suo primo, scandaloso romanzo, Bonjour Tristesse.
Il giornalista e critico Frank Bernard disse che senza di lei saremmo morti di noia.
Io – abbonata a quell’insopprimibile sentimento di nostalgia per epoche mai vissute – non posso che essere d’accordo. Ho conosciuto (e va bene: letto, ho letto) per la prima volta Françoise Sagan nella stagione più promettente e spietata della vita: la tarda adolescenza. In ritardo – conformemente ai canoni stabiliti dai miei coetanei – agli inevitabili appuntamenti di quella stagione della vita, quanto ad edonismo, ero quasi il contrario della mia futura eroina letteraria: non bevevo; le mie labbra non avevano mai sfiorato una sigaretta (nemmeno per provare?, no, nemmeno per provare, grazie.); non mi ero ancora iscritta a scuola guida (d’altro canto, di lì a poco avrei condiviso con Sagan l’essere sopravvissuta a un incidente d’auto quasi mortale); cosa più importante, nonostante avessi già avuto qualche ragazzo, non avevo ancora scoperto il sesso. Con questa elettrica naïvetè della pelle, cominciai a leggere, in un caldissimo pomeriggio di Luglio, Bonjour Tristesse.
«Esito ad apporre il nome, il bel nome grave di tristezza su questo sentimento, del quale la noia, la dolcezza mi ossessionano. È un sentimento così completo, così egoista che io quasi me ne vergogno, mentre la tristezza mi è sempre parsa onorevole. Non conoscevo lei, ma la noia, il rimpianto, e più raramente i rimorsi. Oggi, qualcosa si ripiega su di me come una seta, snervante e dolce, e mi separa dagli altri.»
Quell’incipit lo lessi due volte. Ero abbacinata: dal suo candore, dalla sua urgenza. Pervasa da quel sentimento di stupore e gratitudine suscitato da quella che il mio scrittore preferito, Francis Scott Fitzgerald, definiva la parte più bella di tutta la letteratura: scoprire che i tuoi desideri sono desideri universali, che non sei solo o isolato da nessuno. Tu appartieni.

Pagina dopo pagina, scoprivo che la malinconica irrequietezza della diciassettenne Cécile, protagonista del romanzo, il suo elegantissimo cinismo, la sua segreta solitudine – resa ancora più squisita dalla cornice in cui si consumava, la Costa Azzurra -, la sua urgenza, in qualche modo, erano anche le mie. Carlo Bo, uno dei più meticolosi lettori di Françoise Sagan, definirà questo incantesimo “la trappola”: la “questione Sagan” presenta diversi aspetti che prescindono quella letteraria e investe il costume, la moda, l’attualità. Un “incontro tra la noia, la moda e una curiosità non più viva”, si ripete ad intervalli, abbastanza regolari, di anni, con folle di lettori: “giovani di tutte le razze”, scriverà Elle Voldemar Lestienne, “ascoltano in ventitré lingue salire in essi la voce inimitabile di Françoise Sagan: è questa che di colpo li prende, questa voce che riconoscono”. Che non sei solo o isolato da nessuno, per l’appunto.
«Hai visto che ore sono?»
«Ho trovato un editore per il mio libro!»
«Ottimo, ma vai a pettinarti prima di sederti a tavola.»
Françoise Sagan non ha bisogno di un grande amore: ha bisogno di un editore. Maggio 1954. Mentre il cantante Elvis Presley debutta cantando di felicità, con il suo singolo My happiness, Françoise Sagan, nata Françoise Delphine Quoirez, compone un’ode alla tristezza. Un incipit, quello di Bonjour Tristesse, che oggi farebbe invidia al più studiatamente decadente testo di Lana Del Ray (che con l’autrice francese, cinquant’anni dopo, condivide pure il compleanno). Edito da Julliard, in sole tre settimane il romanzo la consacra a scrittrice più celebre di tutta la Francia. La sorpresa e lo scandalo – scrive Pierre de Boisdeffre, uno dei più brillanti storici della contemporanea letteratura francese – fanno della giovane autrice “la vedette più adulata” e chiacchierata della nazione; e non solo: in Italia, Papa Paolo VI denuncia il romanzo come “un esempio di irreligiosità”.
Come osa, questa diciottenne figlia della borghesia parigina più perbene, ostentare tanta disillusione senza nemmeno aver vissuto? Che fine ha fatto la jeune fille ereditata dal romanticismo? La risposta riverbera come il sole nell’estate di Cécile: la polvere alzata da un motore rombante guidato da una giovane cinica ed elegantemente annoiata, l’ha lasciata indietro, immobile sul sentiero sterrato.
Françoise Sagan è giovane e colta (il suo pseudonimo è preso in prestito da Proust, il titolo del suo primo romanzo da un verso del poeta Paul Éluard): con Bonjour Tristesse non si limita a scrivere un mero romanzo di formazione, ma anche, con una spontaneità sconcertante, una lucida e tagliente riflessione sulla moralità e sull’edonismo. Mediante una costruzione narrativa debitrice dei soggetti proustiani, tutti i suoi personaggi, da Bonjour Tristesse in avanti, si ripeteranno con equiparabili indoli, in una schietta critica della raffinatissima società in cui l’autrice ha nutrito corpo e disincanto: giovani sprezzanti e garbatamente infastiditi; donne giovani e mature, inguaribilmente sentimentali dietro la maschera dell’emancipazione e dello snobismo; quarantenni ricchi di fascino e sicuri di sé, che ostentano abilmente una stanchezza d’effetto. Tutti aggrappati all’amore carnale che, ieri come oggi, non è che una fugace carezza su un rivendicato “male del secolo”.
Sono trascorsi settant’anni dalla pubblicazione di Bonjour Tristesse, ma la voce di Françoise Sagan continua ad essere riconoscibile, attuale e certamente attraente per l’industria culturale. Era il 1958 quando Otto Preminger adattava per la prima volta per il grande schermo B.T., scegliendo come protagonisti gli attori David Niven e Jean Seberg, la quale, con il suo charme innocente e l’iconico taglio di capelli, contribuirà a fissare per sempre la fragile raffinatezza dell’autrice nell’immaginario collettivo.
Oggi Bonjour Tristesse è tornato al cinema con un nuovo adattamento, firmato dal regista esordiente Durga Chew-Bose. Il film ha debuttato al Toronto International Film Festival 2024 ed è stato distribuito in Canada da Elevation Pictures. La trama resta fedele a quella originale: una ragazza sulla soglia dell’età adulta, Cécile, trascorre l’estate in una villa nel sud della Francia, insieme al suo adorato padre, il vedovo donnaiolo Raymond, e alla sua “amica” Elsa. Un equilibrio che verrà presto turbato dall’arrivo della nuova amante dell’uomo, l’affascinante ed enigmatica Anna. Chew-Bose ha definito il nuovo film «una continuazione del libro e dello squisito adattamento di Preminger». Nonostante queste nobili intenzioni, però, confesso: io non ho (ancora) molta voglia di vederlo.
E, cosa ne avrebbe pensato Françoise Sagan, mi sarà dato solo immaginarlo.

Dopo una vita vissuta inseguendo ogni eccesso, ma intellettualmente prolifica (si contano più di 50 opere, tra romanzi, soggetti e sceneggiature teatrali), Françoise Sagan si è spenta malata e indigente in un ospedale di Honfleur, davanti al mare burrascoso della Normandia. Completamente abbandonata dal mondo della letteratura, nei suoi ultimi giorni non faceva che chiedersi «perché la Francia mi odia?».
Nel giorno del suo compleanno, io preferisco ricordarla a bordo della sua Aston Martin, indifferente a ogni sguardo e giudizio perché troppo presa a vivere – e amare – nell’unico modo che conosceva: All’impazzata, con Un certo sorriso, senza Lividi sull’anima, e con Ai quattro angoli del cuore, una sola domanda, meno dolorosa: Le piace, Brahms?
