L’esordio con Ciao bambino, vincitore del Premio Caligari, segna per Edgardo Pistone la necessità di raccontare uno spazio di ambiguità morale e un personaggio sospeso tra due identità. Il film esplora il tema della colpa senza essere manicheo, con un bianco e nero che racconta la duplicità del film, dentro e fuori dal realismo, immerso in una dimensione archetipica del genere. «Fare un film è un’esperienza che porta via diversi anni della vita. Se non ci sono i presupposti per fare una grande avventura, o se il film non lo sento mio, preferisco fermarmi, perché sarebbe come perdere una parte di sé»
Il dualismo nel cinema del regista
Uno dei temi maggiori del film è quello legato allo spazio: in che modo sei riuscito a rappresentarlo?
Ciao bambino è una lotta costante nella cornice tra il bene e il male. Il protagonista vive in una condizione che lo pone a metà tra il suo spirito da sfruttatore e da gentiluomo nei confronti di Anastasia. Lo spettatore prova compassione per lui, perché è costretto a fare un lavoro che detesta, ma delle volte sfrutta questa posizione di dominio a suo vantaggio.
In funzione di questa ambivalenza, l’ultima inquadratura è significativa per comprendere questo stato di eterna scissione del personaggio…
Sì, quell’immagine parla esattamente dello stato liminale di Attilio tra l’essere un uomo e un bambino, tra l’evasione e l’impossibilità di fuga. Il finale, che lo mostra solo per metà nell’inquadratura, racchiude tutta l’ambiguità del protagonista e del mio modo di fare cinema: non tendo mai a giudicare i personaggi proprio in virtù del confine sottile che li caratterizza.
Il bianco e nero come filtro del mondo
Perché hai scelto di usare il bianco e nero?
Volevo che l’immagine del film fosse l’immagine del mondo tradotta secondo la mia sensibilità. Il bianco e nero porta la storia da quel contesto verso una prospettiva astratta. È stata una scelta che mi ha aiutato a trovare delle armonie nella rappresentazione dei volti, che sono antichi, segnati da tracce di storie indelebili. Ho cercato un’armonia che unisse l’impronta realistica a quella metaforica.
Quindi non volevi concentrarti sui quartieri di Napoli?
No, non era mia intenzione narrare una specifica condizione sociale, quello che mi spinge a raccontare una storia è la componente poetica ed emotiva, non quella politica o sociologica.

Il punto di vista maschile nel rapporto tra Attilio e Anastasia
Ci sono dei film a cui ti sei ispirato?
C’è un’inquadratura molto significativa dei due ragazzi stesi sul letto, in cui la testa di lui poggia su quella di Anastasia, che è ispirata da Gli amori di una bionda, di Milos Forman, sia dal punto di vista tematico che dal punto di vista visivo.
Quale sguardo hai adottato per delineare la storia tra Attilio e Anastasia?
La storia d’amore è certamente influenzata dal mio modo d’essere. La relazione è filtrata da un approccio maschile, proprio perché mi sembrava la descrizione più onesta e dettagliata che potessi fornire.
Per i progetti futuri pensi di poter dedicare più spazio al mondo femminile?
Certo, è già nei miei pensieri l’idea di esplorare delle narrazioni al femminile per i prossimi film. È un universo nuovo per me, e ha allo stesso tempo delle dinamiche che mi affascinano.
La storia che hai scelto non ti permetteva di dare spazio a queste interazioni…
In questo caso il focus era sulle costrizioni di una società patriarcale, ma è proprio questo che rende interessante l’avvento di Anastasia, che si presenta in un contesto basato su una gerarchia maschilista, in cui il suo corpo è usato da tutti come un oggetto.

Dal rapporto con i produttori al richiamo di casa: il cinema come scelta istintiva
Sul rapporto con i produttori e i film…
Molto spesso la libertà scompare nei film col tempo perché le responsabilità diventano altre. Se per l’opera prima si chiede al regista di fare solo un film di buona qualità, dal film successivo è il successo commerciale la richiesta più importante. Io ho avuto la fortuna di avere dei produttori che mi hanno supportato e hanno creduto al mio progetto.
Hai in mente di girare al di fuori della tua città in futuro?
È una cosa a cui sto ancora pensando. In effetti Napoli non è la protagonista delle mie storie, è circostanziale rispetto ai temi che voglio esplorare, però in questo momento la sento come un’estensione naturale del mio essere. Per questo mi viene naturale girare solo nella mia città.
Se dovessi dare un consiglio agli aspiranti registi, quale sarebbe?
Mi sento di dire che viviamo in un momento in cui c’è bisogno di bellezza e di creatività. Non abbiamo bisogno di consultare numeri e algoritmi freddi e asettici. Nel vostro percorso incontrerete tantissime persone che tenteranno di parlarvi di cifre e statistiche, ma l’unica cosa importante è avere un’idea di cinema e non fare un cinema di idee.
A cura di Federico Tondo