Inizia la rivoluzione green da parte dell’Europa. In Italia il 14 gennaio entra in vigore il decreto che vieta l’uso della plastica monouso, non biodegradabile e non compostabile. La direttiva europea “SUP” (Single Use Plastic), formalmente approvata nel 2019, si pone l’obiettivo di «promuovere la transizione verso un’economia circolare con modelli imprenditoriali, prodotti e materiali innovativi e sostenibili», ponendo un freno all’inquinamento dovuto alla plastica.
Cosa cambia
Il decreto pone fine all’immissione sul mercato di posate, piatti, cannucce, cotton fioc e più in generale di prodotti oxo-degradabili (ossia materie plastiche contenenti additivi che attraverso l’ossidazione comportano la frammentazione in microframmenti). Vietati anche palloncini, borse di plastica e alcuni attrezzi per la pesca.
Non rientrano invece nella direttiva i prodotti composti al 100% con plastica biodegradabile e quelli composti da materia prima rinnovabile uguale o superiore al 40% (percentuale che salirà al 60% nel 2024). Rimane tuttavia la possibilità di esaurire le scorte.
Per favorire il rispetto della normativa, il governo prevede due misure: incentivi alle imprese e sanzioni per i trasgressori. Per le aziende che utilizzeranno prodotti riutilizzabili verrà infatti riconosciuto un credito d’imposta fino a tre milioni di euro l’anno, mentre per chi immetterà sul mercato prodotti non conformi al decreto sono previste sanzioni amministrative da 2.500 euro fino a 25mila.
Gli obiettivi
Secondo la fondazione Ellen MacArthur, nel 2050 ci saranno più residui plastici che pesci. Ad oggi si stima che negli oceani finiscano ogni anno circa 8 milioni di tonnellate di plastica, composta in particolare da prodotti usa e getta. Secondo alcune stime del WWF, grazie allo stop del monouso si potrà ridurre del 57% il carico di plastica nei rifiuti a livello globale. La speranza è quindi quella di ottenere risultati tangibili entro il 2026, dando il via ad una rivoluzione che miri alla tutela dell’ambiente.
Attualmente l’Europa produce circa 58 milioni di tonnellate di plastica ogni anno, di cui solamente il 30% viene riciclato. Un numero troppo basso per arginare seriamente l’inquinamento che minaccia il pianeta.
Gli ambientalisti criticano la norma
Molto critica con il decreto del governo italiano è tuttavia Greenpeace, secondo cui la legge italiana contiene una serie di deroghe non previste dalla norma europea: ad esempio, la possibilità di ricorrere ad alternative in plastica biodegradabile e compostabile, ma anche l’esclusione dal decreto dei prodotti dotati di rivestimento in plastica con un peso inferiore al 10 per cento dell’intero prodotto, che di fatto salva gli imballaggi della frutta e verdura dei supermercati.
Grazie a queste tecniche per aggirare la normativa europea, insomma, rimarrebbe inalterato il modello dell’usa e getta, senza un vero impegno per promuovere la vendita di prodotti sfusi che potrebbero rappresentare una soluzione più efficace per combattere l’inquinamento da plastica.
«L’Italia conferma ancora una volta di avere un approccio miope che favorisce solo una finta transizione ecologica. La direttiva offriva l’opportunità di andare oltre il monouso e la semplice sostituzione di un materiale con un altro, promuovendo soluzioni basate sul riutilizzo» ha dichiarato Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia.
Plastica, un materiale indispensabile per alcuni settori
Nonostante il suo devastante impatto ambientale, tuttavia, è innegabile che la plastica abbia rappresentato una vera e propria rivoluzione per l’umanità fin dalla sua introduzione alla fine dell’800. Materiale versatile, resistente e a basso costo, la plastica è una componente fondamentale per alcuni settori come quello medico e farmaceutico: basti pensare ai blister e alle confezioni necessarie per conservare i farmaci, ma anche alla produzione di valvole cardiache, siringhe, protesi e tutti gli altri dispositivi medici sterili usa e getta. Inoltre, senza la plastica si tornerebbe a un ciclo di conservazione degli alimenti molto breve.
Ma se è vero che per alcuni settori è impossibile fare a meno della plastica, bisognerebbe utilizzarla solo nelle sue applicazioni indispensabili, e soprattutto imparare a impiegarla con giudizio. In tal senso, molto spesso le aziende produttrici insistono sulla necessità di puntare sul riciclo, anche se i dati non sono confortanti: di tutta la plastica mai prodotta, solo il 21% è stato incenerito o riciclato, mentre il resto risulta disperso nelle discariche o nell’ambiente naturale.
La normativa europea potrebbe colpire in particolare il nostro paese, visto che ha il 60% del mercato europeo della plastica usa e getta e da anni le imprese produttrici investono nella plastica biodegradabile e compostabile. L’Italia conta circa 10mila aziende per un totale di circa 162mila lavoratori e un fatturato da 32 miliarrdi di euro. Per questo motivo anche il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani a giugno ha criticato la normativa europea con toni duri: «È una direttiva assurda, per la quale va bene solo la plastica che si ricicla. L’Europa ha dato una definizione di plastica stranissima, solo quella riciclabile. Tutte le altre, anche se sono biodegradabili o sono additivate di qualcosa, non vanno bene».
Articolo di Gabriele Lussu e Valeriano Musiu