Venerdì 16 febbraio le autorità russe hanno annunciato la morte, nella colonia penale IK-3 (nel distretto artico di Yamalo-Nenets, Siberia), del dissidente Alexei Navalny. Massimo oppositore del presidente Vladimir Putin, il 47enne era detenuto dal gennaio 2021.
«Sindrome da morte improvvisa»
Sono poche le certezze attorno alla notizia. Il decesso sarebbe avvenuto, secondo le autorità carcerarie russe, per «sindrome da morte improvvisa». Una locuzione vaga, con cui la medicina raggruppa tutti i decessi per arresto cardiaco di cui non vengono identificate le cause. Solo un’autopsia potrebbe rivelare qualcosa in più. Ma fino a domenica 15 nemmeno si sapeva dove fosse il cadavere. Localizzato nell’ospedale di Salekhard (a una 40ina di chilometri dalla colonia penale), a familiari e avvocati è stato impedito di vederlo. Secondo una fonte interna alla struttura, il corpo presenterebbe un buon numero di lividi compatibili con delle convulsioni, oltre a uno più grande frutto di un possibile massaggio cardiaco.
Persecuzione
Il velo di segretezza attorno alla morte di Navalny ricalca quello che ha avvolto i suoi ultimi anni. Arrestato nel gennaio 2021 mentre rientrava dalla Germania (dove era stato trasferito per salvarlo in extremis da un tentativo di avvelenamento orchestrato, pare, dai servizi segreti russi), da quel momento l’oppositore non era mai uscito di prigione. Vari i processi a suo carico, molti per reati finanziari, ritenuti montati ad arte dal regime a cui strenuamente si opponeva. La sua lotta contro la corruzione e l’autoritarismo putiniano aveva superato i confini della Russia, trasformandolo in un simbolo di lotta alla dittatura.
Non che fosse un santo: a inizio millennio furono molte le sue esternazioni razziste e violente nei confronti di immigrati e minoranze, e spesso mescolò la sua attività con quella di gruppi ultra-nazionalisti. La svolta arrivò nel 2014, con l’annessione russa della Crimea. Da quel momento Navalny mise in secondo piano la lotta alla corruzione, per dedicarsi anima e corpo all’attacco frontale al regime di Putin. Che, in prigione e in tribunale, lo ha punito duramente: carcere senza il rispetto dei diritti umani basilari, processi farsa e senza possibilità di partecipare (anche in videoconferenza).
Morto o ammazzato?
Con la morte di Navalny il Cremlino si toglie un grande sassolino dalla scarpa. Soprattutto sul fronte internazionale: non ci sarà più una voce così forte che racconti gli orrori del regime. Ma, viene da chiedersi, l’oppositore è morto o “è stato morto”? A Putin cosa converrebbe di più? Di certo c’è che dal 15 al 17 marzo la Russia andrà alle urne per eleggere il presidente. O meglio, per rieleggere Putin. In quest’ottica un eventuale omicidio di Navalny avrebbe significato simbolico. Un avvertimento alle opposizioni: «non provate a mettere i bastoni tra le ruote».
D’altra parte, se la morte del dissidente fosse davvero naturale, potrebbero esserci problemi per lo stesso Putin. A affermarlo è il giornale tedesco Bild che, citando fonti non confermate, sostiene che Navalny fosse sull’orlo della liberazione. Il contesto sarebbe uno scambio di prigionieri: la Russia avrebbe consegnato il leader dell’opposizione alla Germania, in cambio di un agente segreto da tempo detenuto per tentato omicidio. Ma non ci sono conferme su questa versione. Come, del resto, non ce ne sono sull’intera storia.
Il mondo protesta
La notizia della morte di Navalny ha subito fatto il giro del globo. Le reazioni internazionali, almeno da parte occidentale, sono grossomodo le stesse: si accusa il Cremlino di responsabilità, diretta o indiretta. Davanti a ambasciate e consolati russi si accumulano i fiori e si formano piccoli sit-in di protesta. La sera del 19 febbraio il leader di Azione, Carlo Caldenda, ha organizzato a Roma una fiaccolata in ricordo. Parteciperanno tutti i partiti, anche se mancheranno alcuni leader (tra cui Giuseppe Conte per il Movimento 5 Stelle e Matteo Salvini per la Lega).
E anche a Mosca, nonostante il bavaglio di regime, almeno 400 persone hanno portato fiori in memoria di Navalny. La polizia ha identificato tutti, ma gli arresti sembrano essere pochi e le condanne assai lievi: anche Putin sa che non è bene soffiare sul fuoco.