Con l’avvio della missione navale “Aspides” nel Mar Rosso, l’impegno militare italiano nel mondo salirà a 43 operazioni. Un numero molto alto, che spazia da grandi realtà da 2.120 uomini (per il rafforzamento della presenza NATO in Europa orientale) fino a minuscoli impegni di una singola persona (nella missione ONU in Libia). E ancora, si fa presto a dire missione militare: ci sono quelle NATO, quelle sotto egida delle Nazioni Unite, fino a quelle dell’Unione Europea e quelle bilaterali, in cui è l’Italia stessa a mettersi in gioco.
Nel 2023 i soldati, marinai, aviatori, carabinieri, finanzieri e poliziotti italiani impegnati all’estero sono stati 11.520, per una spesa complessiva di 1 miliardo e 324 milioni di euro. Dal Libano al Niger, dal Mediterraneo al Golfo di Aden, la presenza militare del nostro Paese è ben più ampia di quanto si possa immaginare.
Europa
Le missioni NATO
Sul suolo del nostro continente, l’Italia è impegnata soprattutto in attività legate all’Alleanza Atlantica. In alcuni casi in maniera sparsa, come per le attività di sorveglianza congiunta dello spazio aereo NATO, l’operazione “Air Policing” nell’area orientale dell’Europa (in Polonia, a febbraio 2024, e in precedenza in Estonia, Romania e Islanda), o le azioni di deterrenza e sorveglianza delle acque alleate (soprattutto nel Mediterraneo). In questi casi, i nostri contingenti, aerei e mezzi navali lavorano in grandi formazioni miste, formate anche da personale di altri Paesi.
Diverso è il discorso per missioni più strutturate (e con organici più numerosi). Dalla partecipazione al NATO “Battlegroup Latvia”, che contribuisce alla difesa delle frontiere lettoni con la Russia (370 uomini e donne e un centinaio di veicoli dell’Esercito), alla presenza in Ungheria e Bulgaria per potenziare la presenza alleata nell’Est europeo. Un totale di 2.120 soldati e oltre 400 veicoli.
L’impegno italiano è però focalizzato nella tradizionale sfera d’influenza nazionale. E dunque ecco le operazioni “Active Endeavour” (nel Mediterraneo, con un sommergibile, una nave e due elicotteri coinvolti in una formazione multinazionale) e “Joint Enterprise”. Quest’ultima è ormai storica. Attiva nell’area balcanica, tra Serbia, Bosnia e Kosovo, è uno degli impegni più prolungati nella storia della NATO. Oltre ai due uffici di Sarajevo e Belgrado, il grosso della formazione è la KFOR, la missione in territorio kosovaro attiva sin dal 1999. Per l’Italia sono coinvolti circa 860 militari.
Le missioni europee
Come è naturale, anche l’Unione Europea ha attivato alcune iniziative sul suolo e nei mari continentali. L’Italia è coinvolta in quasi tutte. Tra queste c’è EUFOR “Althea”. Attiva sul territorio della Bosnia-Erzegovina per facilitarne l’integrazione europea. I 195 militari italiani hanno il compito, insieme ai partner, di addestrare le forze armate bosniache, oltre ad assisterle in attività di controllo delle frontiere e antiterrorismo. Sempre in area balcanica, in Kosovo (già presidiato con la NATO), si svolge la missione EULEX, grazie alla quale 28 nostri Carabinieri contribuiscono alle funzioni di polizia dell’autoproclamata repubblica kosovara.
Nel Mediterraneo, accanto alle iniziative NATO, navigano anche le unità impegnate nella missione EUNAVFORMED “Irini” (EUropean NAVal FORce MEDiterranean). Obiettivo dell’operazione è garantire l’embargo sulle armi imposto dall’ONU alla Libia sin dal 2011. L’Italia schiera una nave con un elicottero a bordo, insieme con un aereo da pattugliamento marittimo. Infine, proprio nel 2023, è partito un nuovo impegno. I militari impiegati sono 80. Pur essendo schierati in territorio UE, il loro compito è addestrare e contribuire all’aggiornamento delle forze armate di Kiev. La missione, EUMAM Ucraina (European Union Military Assistance Mission), prevede la possibilità futura di rischierare il personale direttamente sul suolo ucraino. Ma niente paura: finché la guerra non finirà, nessun soldato italiano entrerà nel Paese est-europeo.
Le missioni ONU
Le operazioni sotto egida delle Nazioni Unite, in Europa, non sono molte. In effetti, dando loro un’occhiata d’insieme, ci si accorge che l’ONU tende a intervenire in aree a grande instabilità. Non il ritratto del nostro continente, quindi. Eppure qualcosa c’è, e gli italiani partecipano anche in questo caso. Si parla della missione UNFICYP (United Nations peacekeeping Force In CYPrus), attiva sull’isola di Cipro sin dall’inizio delle contrapposizioni tra i gruppi etnici greco e turco, nel 1964. L’Italia contribuisce con soli cinque militari, inseriti nella più ampia forza ONU che opera lungo la “Linea Verde”, la zona demilitarizzata che separa le due entità statuali che animano l’isola.
Gli impegni nazionali
Non mancano poi le iniziative unilaterali e bilaterali. Quelle, cioè, in cui l’Italia non si limita a partecipare a missioni organizzate da enti terzi, ma è essa stessa a promuovere azioni fuori dai propri confini. In Europa sono due le operazioni di questo tipo. La prima, ben nota all’opinione pubblica, è “Mediterraneo Sicuro”. Si tratta dell’impegno della Marina Militare nelle acque tra Italia, Tunisia e Libia, un tratto di mare molto trafficato e teatro, sin dal 2011-2012, di intensi fenomeni migratori. In origine chiamata “Mare Sicuro”, la missione ha l’obiettivo di garantire la libertà e la sicurezza della navigazione in quel tratto di Mediterraneo, contribuendo anche al contrasto del traffico di esseri umani e al salvataggio delle vittime di naufragio.
Guardando di nuovo ai Balcani si individuerà l’ennesima realtà che coinvolge gli italiani. Questa volta i poliziotti. Si tratta della “Missione di assistenza alla polizia albanese”. Il personale è impegnato nello scambio di informazioni, nella conduzione di indagini congiunte e nel contrasto alla criminalità organizzata con le forze dell’Ordine albanesi e, nonostante il nome non lo lasci intendere, di altri Paesi dell’area (Bosnia, Bulgaria, Croazia, Grecia, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Romania, Serbia e Slovenia). Si parla di 43 operatori in Albania e 29 nel resto degli Stati regionali, con un totale di 13 autovetture, cinque motoscafi e un elicottero.
Asia
Le missioni NATO
Se in Europa la maggioranza delle operazioni in cui l’Italia è coinvolta sono riconducibili all’Alleanza Atlantica, lo stesso non vale per l’Asia. Asia che, con la fine dell’impegno in Afghanistan nel 2021, significa soprattutto Medio Oriente. È qui che i nostri militari sono impegnati nella “NATO Mission in Iraq”. La coalizione alleata, attiva sul suolo iracheno sin dal 2003, è oggi molto ridotta per dimensioni e personale impiegato. Sono lontani i tempi in cui soldati e Carabinieri italiani, sotto la bandiera dell’operazione “Antica Babilonia” (2003-2006), ammontavano a oltre 3mila unità. Oggi l’impegno nazionale si ferma a 225 uomini e donne.
I compiti della missione, con siti logistici anche in Kuwait e Giordania, sono oggi soprattutto addestrativi. I documenti parlamentari italiani del 2023 parlano di impegno «non-combat di consulenza e rafforzamento delle capacità, che assiste l’Iraq nella costruzione di istituzioni di sicurezza e forze armate più sostenibili, trasparenti, inclusive ed efficaci». Semplificando: addestriamo il personale locale, senza combattere. Quello spetta a altre operazioni.
Le missioni europee
Nonostante i migliaia di chilometri di distanza dall’Europa, l’UE ha un’iniziativa militare attiva anche in Medio Oriente. Si tratta della missione EMASOH (European Maritime Awareness in the Strait Of Hormuz), che opera nello Stretto di Hormuz, il braccio di mare che separa l’Iran dalla Penisola Arabica e che costituisce l’unico accesso al Golfo Persico. Lanciata nel 2020 su proposta francese e sostenuta da Italia, Grecia, Belgio, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Portogallo, EMASOH punta a salvaguardare la libertà di navigazione in un tratto marittimo molto trafficato e vitale per i commerci globali, soprattutto energetici. Roma partecipa con una unità navale e due mezzi aerei.
Le missioni ONU
È sotto la bandiera delle Nazioni Unite che opera la più nota missione internazionale a partecipazione (e spesso guida) italiana. Da noi conosciuta come Operazione “Leonte”, la forza UNIFIL (United Nations Interim Force In Lebanon) è attiva nell’area meridionale del Libano. La regione interessata, stretta tra i fiume Litani e il confine israeliano, è sottoposta a controllo ONU per evitare pericolosi contatti tra l’esercito di Tel Aviv e le milizie palestinesi (soprattutto Hezbollah). Negli ultimi mesi il compito di UNIFIL è particolarmente difficile: essendo una missione di pace non è possibile reagire con la forza per separare i due contendenti, impegnati in costanti schermaglie. L’Italia fornisce il contingente più numeroso: 1.169 militari, 368 veicoli, una nave e sette aeromobili. E negli ultimi 17 anni il nostro Paese ha guidato la forza multinazionale per un totale di 11 anni.
C’è un’altra missione ONU in Asia che ci vede partecipare. Ma, in questo caso, il personale italiano è molto contenuto: due persone. Si tratta dell’unica iniziativa a cui l’Italia partecipa in area non mediorientale: l’operazione UNMOGIP (United Nations Military Observer Group in India e Pakistan). È stata lanciata nel 1949 per far verificare il rispetto del cessate il fuoco tra Nuova Delhi e Islamabad lungo una linea di contatto tra le parti, lunga 780 chilometri.
Gli impegni nazionali
Il Libano ritorna anche nell’ambito delle iniziative bilaterali. In fondo l’Italia fu tra le prime a intervenire nel Paese levantino già alle origini dell’intervento ONU, presidiando il territorio tra il 1982 e il 1984. Non stupisce che proprio a Beirut siano dedicati gli sforzi della missione MIBIL Libano (MIssione Bilaterale Italiana in Libano). Iniziata nel 2015, l’operazione prevede l’addestramento dell’esercito, della marina e della polizia libanesi, ed è inquadrata nel più ampio ISG (International Support Group for Lebanon). Al 2023 impiega 190 militari, coadiuvati da una unità navale e un aeromobile.
Sempre in ottica addestrativa, questa volta a vantaggio delle forze di polizia dell’Autorità Nazionale Palestinese, operavano i 33 Carabinieri di MIADIT Palestina (MIssione ADdestrativa ITaliana). Dopo una presenza che durava dal 2014, lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas lo scorso 7 ottobre 2023 ha costretto il Ministero della Difesa a far rientrare tutto il personale, mantenendo però formalmente attiva la missione.
Altri 1.005 militari sono stanziati in Iraq. In questo caso non si può parlare esattamente di un’operazione bilaterale, ma nemmeno di un’egida ONU, NATO o UE. Il contingente, con i suoi 100 veicoli e 8 tra aerei e elicotteri, è impegnato nella grande coalizione multinazionale impegnata nella lotta al Daesh, l’autoproclamato Stato Islamico più noto con la sigla ISIS. Il compito di questa formazione italiana è, rispetto a quello dei colleghi dispiegati in giro per il mondo, il più operativo: non sono mancati, in questi anni, scontri con i fondamentalisti. Oltre a quel migliaio di soldati ce ne sono poi 158 sparsi tra Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Qatar. Per loro nessun impiego operativo: si tratta di personale logistico, che contribuisce alla gestione di tutte le missioni nazionali in area mediorientale.
Africa
Le missioni NATO
Il continente africano non sembra interessare molto alla NATO. L’unica iniziativa che coinvolge la regione, con partecipazione italiana, è il potenziamento del cosiddetto “quadro sud”, il confine meridionale dello spazio di competenza dell’Alleanza Atlantica: Sahara, Sahel, Medio Oriente. Nulla di impegnativo: sette militari delle nostre Forze Armate operano insieme a quelli degli altri Paesi per assistere e addestrare, di volta in volta, le truppe degli Stati regionali. La loro base operativa sarebbe Addis Abeba, in Etiopia, ma solo sulla carta. Nella pratica, salvo i momenti in cui svolgono i compiti assegnati, restano in Europa: chi in Belgio, chi al comando NATO di Napoli.
Le missioni europee: piccoli contingenti
Se l’Alleanza Atlantica non sembra coinvolta in Africa, il suo posto è preso saldamente dall’Unione Europea. Contingenti italiani partecipano a operazioni in tutto il continente. Si parte da piccole realtà come EUBAM Libia (European Union Border Assistance Mission), partita nel 2023 e che impiega tre militari italiani in attività di controllo delle frontiere a supporto alle autorità di Tripoli, per arrivare a numeri più importanti.
Andando a crescere troviamo i 15 operatori (soprattutto Carabinieri) delle missioni EUCAP (European Union CAPacity building mission) in Somalia e in Niger, e i 15 fanti di Marina di quella EUTM (European Union Training Mission) in Mozambico. Tutte e tre le iniziative includono la consulenza e l’addestramento a vantaggio delle forze di sicurezza locali. Poi vengono i 20 militari di EUMPM Niger (European Union Military Partnership Mission), incaricati di migliorare le competenze degli omologhi nigerini in alcuni specifici settori, oltre a contribuire allo sviluppo di nuove capacità di comunicazione operativa per le forze armate locali. Questa missione, come EUBAM Libia, è partita nel 2023.
Le missioni europee: grandi unità
Numeri molto maggiori li registra l’operazione EUTM Somalia. L’addestramento delle truppe locali coinvolge 169 militari italiani, stanziati nella base di Mogadiscio. Accanto alla formazione, il personale UE è impegnato nel processo di apertura dei ruoli militari somali anche alle donne, tradizionalmente escluse, con una serie di corsi e iniziative di sensibilizzazione degli uomini già in servizio. Ma l’impegno più grande che l’Italia ha in Africa per conto dell’Unione Europea è la missione navale EUNAVFOR “Atalanta”. Attiva nel Golfo di Aden dal 2008, l’operazione ha duplice scopo. Da un lato deve garantire la libertà di navigazione nel tratto di mare che collega Oceano Indiano e Mar Rosso. Dall’altro funge da sforzo antipirateria, insieme a altre unità provenienti da molti Paesi (tra cui Cina, India, Stati Uniti e Russia). La nostra Marina Militare partecipa con una fregata e relativi elicotteri. In questo momento (febbraio 2024) è di turno nave Federico Martinengo.
Le missioni ONU
Anche le Nazioni Unite hanno da sempre un grande impegno nel continente africano. L’Italia contribuisce in tre diverse aree: Libia, Sahara Occidentale ed Egitto. Nel primo caso opera la missione UNSMIL (United Nations Support Mission In Libya), che più che militare è un’iniziativa politica. Il suo obiettivo è fornire all’instabile governo di Tripoli una serie di assistenti e consiglieri, in grado di assistere l’esecutivo locale aiuto ove necessario. Per il nostro Paese è l’impegno meno oneroso in assoluto: una sola persona partecipa all’iniziativa.
Quasi sullo stesso livello di coinvolgimento si pone MINURSO (Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale): due singole unità di personale. Scopo dell’operazione è verificare il rispetto del cessate il fuoco, in vigore dal 1991, in quel territorio noto come Sahara Occidentale. Dopo duri scontri del fronte indipendentista con il Marocco (che formalmente detiene la sovranità), le Nazioni Unite mediarono lo svolgimento di un referendum di autodeterminazione. Che, al 2024, ancora non si è svolto.
Altro importante impegno italiano è la missione MFO (Multinational Force and Observers). Di base a Sharm-el-Sheikh in Egitto, si tratta di una operazione navale iniziata nel 1982 a garanzia della libertà di navigazione nel Golfo di Aqaba e gli Stretti di Tiran (tra le penisole del Sinai e Arabica). Qui si trovano l’unico sbocco marittimo della Giordania, Aqaba, e il porto israeliano di Eilat. La Marina Militare ha costruito appositamente per la missione quattro pattugliatori, stanziati in maniera permanente in Egitto. Al febbraio 2024 solo tre navi sono operative, con la quarta rientrata in patria e rischierata in Sardegna.
Gli impegni nazionali: Libia
Può stupire, ma l’Italia svolge un grande numero di operazioni autonome in Africa. A partire dalla Libia, dove sono in corso una missione bilaterale terrestri e due navali. Quella sul terreno, MIASIT (MIssione Assistenza e Supporto ITaliana) , forte di 200 operatori, consiste nell’addestramento delle forze di sicurezza locali e nel contributo alla sanità civile. Di quelle navali, una è di supporto alla Marina libica e dipende dalla già citata missione “Mediterraneo Sicuro”. L’altra è invece a cura della Guardia di Finanza e consiste in un piccolo contingente di una dozzina di persone, a supporto della sorveglianza dei confini marittimi da parte della Guardia Costiera di Tripoli. Sempre in area nordafricana opera anche la missione MIBIL Tunisia. Il personale ammonta a 15 uomini e donne impegnati nell’addestramento delle truppe locali.
Gli impegni nazionali: Gibuti e Golfo di Guinea
L’Italia ha poi un ruolo centrale nel piccolissimo Gibuti, Paese situato all’estremo nord-occidentale del Corno d’Africa. Qui hanno sede la missione MIADIT Somalia, per l’addestramento del personale somalo e gibutiano (115 italiani coinvolti) e, soprattutto, l’unica base militare che il nostro Paese abbia al di fuori dei propri confini. Per il mantenimento della “Amedeo Guillet”, questo il nome della struttura, sono impiegati 147 tra soldati, avieri, marinai e carabinieri. Si tratta di una struttura chiave per tutte le operazioni nella regione: da EUNAVFOR “Atalanta” alle varie iniziative nell’Africa sub-sahariana.
Per concludere vanno citate anche le ultime iniziative. Una è la MISIN (MISsione Italiana in Niger), i cui 500 uomini e donne provvedono quotidianamente alla preparazione e all’aggiornamento di paracadutisti, forze speciali e gendarmi nigerini. Poi c’è la nuova (2023) “Missione bilaterale di supporto alla Repubblica del Burkina Faso”, con cui l’Italia intende formare i soldati burkinabé, assistendo anche le forze di sicurezza locali nel contrasto ai flussi migratori illegali. L’impegno per Roma è di 50 unità di personale. Infine c’è l’impegno antipirateria nel Golfo di Guinea. In quell’area transita oltre il 90% dei traffici commerciali dall’ Africa occidentale. Non è un caso che le Nazioni Unite abbiano indicato quel tratto di mare come un vero e proprio hotspot mondiale della pirateria. L’Italia schiera in zona un suo “dispositivo aeronavale”, composto da una nave e due aeromobili.
Nuove norme per un futuro incerto
In chiusura di questa lunga carrellata si sarà notato come la maggioranza delle missioni italiane siano riconducibili a due filoni: attività di mantenimento della pace e di formazione alle forze locali. Poco o nulla c’è sul fronte prettamente “bellico”. La coalizione contro l’ISIS. Le unità schierate con la NATO in Europa orientale, forse. Eppure, in un mondo che scivola sempre più nell’instabilità e nei conflitti, è legittimo temere che la situazione potrebbe cambiare. Forse proprio su quest’onda lo scorso 25 gennaio il Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro della Difesa Guido Crosetto, ha dato il via libera a un disegno di legge che punta a modificare la normativa vigente sulle missioni internazionali.
Allo stato attuale, prima di inviare soldati in giro per il mondo, occorre un lungo iter parlamentare. Con le nuove regole servirà sempre il parere del Parlamento, ma la procedura sarà più rapida. Sarà inoltre possibile, in caso di necessità, impiegare uomini e mezzi provenienti da missioni distinte nella stessa area regionale, così da aumentare la prontezza operativa. «La Difesa deve stare al passo coi tempi per affrontare con rapidità ed efficacia le emergenze e le crisi internazionali», ha detto Crosetto. La speranza, inutile dirlo, è che non si renda necessario mettere in pratica quanto previsto dalle nuove modifiche. Il più a lungo possibile.