La legge di bilancio appena approvata cancella i 25 milioni di euro che erano stati stanziati dal governo nel biennio 2023-24, per l’apertura di ambulatori destinati alla cura dei disturbi del comportamento alimentare (DCA). «È una vergogna», attacca il fratello di Giulia Scaffidi, la giovane morta nel 2021 a soli 17 anni dopo aver lottato a lungo contro l’anoressia.
L’appello delle famiglie
La decisione ha sconvolto gli operatori del settore e le famiglie coinvolte. «La prevenzione è alla base di tutto. Probabilmente, con le strutture adeguate in grado di formare i pazienti e soprattutto le famiglie, chi soffre di disturbi alimentare potrebbe salvarsi», dice Tony Scaffidi al Corriere della Sera. Il 39enne fa notare come sia necessario avere più assistenza già dalle scuole medie, poiché è in giovane età che si possono notare le prime avvisaglie. E conclude: «Mancano strutture e centri in ogni città in grado di trattare questo problema, diventato tra le prime malattie psicologiche e fisiche che affliggono questa nuova società fatta di estetica e apparenze».
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Una rete insufficiente
Il numero di strutture in Italia che si occupano di offrire assistenza a persone affette da disturbi alimentari risulta molto esiguo. Secondo l’ultimo censimento del Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto Superiore di Sanità, realizzato a febbraio 2023, sono 126 le strutture sparse su tutto il territorio nazionale, di cui 112 pubbliche e 14 appartenenti al settore del privato accreditato. Esattamente la metà di questi centri si trova al Nord, di cui 20 in Emilia Romagna e 15 Lombardia. Sono invece 23 le strutture nel Centro Italia, di cui 8 nel Lazio e 6 in Umbria. Infine 40 sono i centri distribuiti tra Sud e Isole. In quest’ultimo caso, 12 sono in Campania, 7 in Sicilia, appena un paio in Puglia, Sardegna, Abruzzo e Calabria e nessun centro in Molise.
La metà delle regioni non ha dunque una rete completa di assistenza che, secondo un decreto del 2016, dovrebbe articolarsi tra quattro tipo di centri. Il primo è rappresentato dagli ambulatori territoriali, in grado di gestire il 60% della richiesta. Il secondo è dato dalle strutture semiresidenziali, ovvero centri diurni dove le persone possono consumare i propri pasti sotto la supervisione di esperti. Una terza tipologia di struttura sono invece i centri residenziali extraospedalieri h24 che dovrebbero garantire una presa in carico per persona dai 3 ai 5 mesi. Infine i servizi ospedalieri che prevedono il ricovero salvavita per chi rifiuta le cure e la nutrizione artificiale. Molte di queste strutture tuttavia non sono state affatto realizzate.
Il 31 ottobre gli ambulatori chiuderanno
A causa del mancato stanziamento dei fondi, il progetto si concluderà e gli ambulatori chiuderanno. I pazienti si ritroveranno dunque costretti a spostarsi in altre regioni per ricevere delle cure. Ma soprattutto sarà più difficile intercettare nuovi casi. La speranza è che i disturbi alimentari vengano inseriti nei Lea (livelli essenziali di assistenza), le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento del ticket.
Giuseppe Rauso, presidente dell’Associazione nazionale disturbi del comportamento alimentare, spinge in questa direzione. «Speriamo vivamente che qualche decreto legge possa dare continuità a questo progetto. Siamo disperati e non sappiamo come dirlo alle famiglie. Qui si parla della seconda causa di morte tra i giovani, dopo gli incidenti stradali».
Disturbi in crescita dopo la pandemia
Secondo una ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicata nel marzo 2022, sono quasi 9.000 i pazienti in Italia che soffrono di disturbi alimentari. Un numero elevato, ma decisamente inferiore rispetto alle 3 milioni di persone che invece non arrivano ai trattamenti necessari. Il dato, seppur sottostimato, è stato elaborato incrociando diverse fonti del periodo 2019-2023. Si va dalle schede di dimissione ospedaliera, gli accessi ai centri specializzati e al pronto soccorso e le esenzioni. In particolare, prima del Covid, i casi intercettati di anoressia, bulimia e binge eating erano poco meno di un milione. Dopo la pandemia erano triplicati. Anche i dati Rencam regionali (registro nominativo cause di morte) sono purtroppo molto alti. Nel 2022, infatti, i decessi con diagnosi correlate ai disturbi alimentari erano 3158, con una variabilità più alta nelle regioni dove sono scarse o addirittura assenti le strutture di cura.
Laura Dalla Ragione, ex presidente della SISDCA, Società Italiana per la riabilitazione dei disturbi alimentari, ha dichiarato: «La pandemia ha dato il colpo di grazia, confermando un trend che era già in crescita. Dopo il 2020 abbiamo assistito a un aumento enorme di casi e non dobbiamo stupirci poiché le origini post traumatiche dei disturbi alimentari sono ampiamente dimostrate in letteratura”. Inoltre, la comparsa del disturbo sembra verificarsi sempre più spesso durante l’adolescenza, in particolare nella fascia d’età compresa tra i 12 e i 14 anni. Un dato allarmante che evidenzia come per affrontare queste problematiche serva un approccio multidisciplinare che coinvolga diverse figure professionali: psichiatri e pediatri, psicologi e dietisti».
A cura di Cosimo Mazzotta