La mafia nel Nord Italia c’è (ma non si vede)

«Le organizzazioni criminali operano ciascuna nel proprio ambito, ciascuna per sé, nella propria autonomia. Sempre più spesso, però, rifuggendo dalla voglia di farsi la guerra a vicenda, i grandi clan sono pronti a discutere dei loro affari e a dividere gli utili della loro attività illecita». Queste le parole del Procuratore capo di Milano Marcello Viola in merito alla decisione del gip Tommaso Perna sul “sistema mafioso lombardo”. La maxi inchiesta sulla mafia al Nord avrebbe portato alla luce un’alleanza tra le grandi organizzazioni criminali italiane operanti nel Nord Italia: Cosa Nostra, ’ndrangheta e Camorra. Dopo le indagini, condotte dai carabinieri di Milano e Varese e coordinate dalla Dda (Direzione Distrettuale Antimafia) di Milano, sono state emesse solo undici misure di custodia cautelare in carcere su 154 indagati.

Ma se per Viola gli ambiti “lavorativi” dei clan restano ben separati, e per il giudice più che di coalizione si tratterebbe di semplici «contatti tra persone appartenenti a cosche diverse», per Don Ciotti non sarebbe così. «La loro alleanza nel riciclaggio di denaro è già una dimostrazione della rete che hanno creato», ha commentato il fondatore dell’associazione antimafia Libera.

Questo è uno dei tanti esempi che, nonostante i risultati delle indagini, hanno comprovato la presenza della criminalità organizzata nel Settentrione. Altre grandi dimostrazioni della migrazione del fenomeno mafioso risalgono a diversi anni fa. L’operazione Crimine-Infinito (2003) ha svelato il collegamento tra le cosche calabresi e quelle milanesi, mentre le indagini dell’operazione Aemilia (2015) fsi sono focalizzate sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta a Reggio Emilia.

La mafia ha i piedi in Sicilia, ma la testa forse a Roma. Diventerà più crudele e disumana, dalla Sicilia risalirà l’intera penisola per portarsi anche al di là delle Alpi

Lo prevedeva Don Luigi Sturzo ai primi del 1900. Le sue parole, riprese da Don Ciotti durante il convegno “Messaggeri di legalità” organizzato dall’Università degli Studi Bicocca di Milano, suonano fino troppo attuali.

Don Ciotti in prima linea nella lotta alle mafie

Anche fondatore del Gruppo Abele, Don Luigi Ciotti sostiene che per eradicare la criminalità mafiosa alla radice occorra un serio lavoro a livello educativo. Decisiva, in questo senso, la collaborazione con scuole ed università per avviare riflessioni proficue sul tema. Missione primaria delle associazioni di contrasto alla delinquenza organizzata deve dunque essere «la trasmissione di un senso di responsabilità verso la legalità in tutte le sue forme».

Abele e Libera agiscono sul territorio. Secondo Ciotti, sopperiscono alle mancanze dell’azione della politica, dimostrando vicinanza alle famiglie delle vittime e avviando iniziative sociali di supporto. Non solo. Riconoscendo il ruolo decisivo dell’educazione, queste associazioni incentivano il dialogo con le nuove generazioni: «La scuola deve allenare alla vita. Formare i giovani al rispetto reciproco è dovere di noi adulti». 

Il portavoce di Libera è certo che questa proposta possa essere vincente. E non solo al Sud, dove la mafia ha corrotto il sistema per anni, ma anche nelle regioni del Nord. Come reagire al fenomeno e come educare i ragazzi sarebbe dunque una responsabilità comune. «Dobbiamo decidere se, di fronte al male, vogliamo occuparci del sintomo oppure estirparlo alla radice».

Recentemente, però, la mafia ha cambiato il suo modus operandi. Non più attentati e stragi alla luce del sole, ma nascosti illeciti finanziari e trame sotterranee di carattere commerciale. Come conseguenza, l’attenzione al mondo delle organizzazioni criminali è passata in secondo piano, «anche per i media». Tuttavia, questo non deve frenare il processo di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, lasciando campo libero alle cosche nell’operare sul territorio.

Meno omicidi e più affari, la nuova mafia “trasparente”

Anche il Procuratore di Milano Marcello Viola è intervenuto durante il convegno, descrivendo la progressiva espansione delle mafie nel Nord Italia. Mafie che ora non uccidono più, «si sono evolute» inserendosi con i propri affari nelle aree dove circola maggiore quantità di denaro e dove l’economia è più florida. È per questa ragione che la Lombardia è uno dei territori con maggiori infiltrazioni criminali. 

Negli ultimi decenni il fenomeno ha subito un cambiamento radicale. Si sono ridotte le vittime delle faide tra i clan mentre è sempre più prediletta una “pax mafiosa” per favorire lo svolgimento dei loro affari. Significative in questo senso le parole della celebre fotografa Letizia Battaglia, nota per i suoi scatti dei delitti di mafia: «La mafia c’è ancora, ma oggi non saprei più cosa fotografare».

Viola ha anche ricordato l’evoluzione dei reati spia, ovvero ciò che segnala agli inquirenti la presenza di possibili infiltrazioni mafiose sul territorio. «I reati spia in questa fase storica stanno cambiando, non sono più i gravi fatti di sangue, le estorsioni e gli incendi ma si stanno spostando sempre di più sul versante economico». Ora la fanno da padrone i reati tributari. Sono infatti bancherotte e false fatturazioni i primi indicatori.

Secondo il Procuratore, ora le mafie sarebbero diventate “fluide e trasparenti”, in grado di inserirsi del tessuto economico e sociale delle regioni del Nord.

 

Come ha ricordato il giornalista di Avvenire Toni Mira, «questa volta tocca al Sud insegnare al Nord come comportarsi, partendo però dal riconoscimento che anche qui il problema c’è. Non è vero che ci sono anticorpi».

 

 

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