Sabato 9 dicembre i ribelli Houthi dello Yemen hanno lanciato una nuova minaccia: colpiranno ogni nave diretta verso il porto israeliano di Eilat, sul Mar Rosso. È solo l’ultimo atto ostile dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas lo scorso 7 ottobre. Ma chi sono gli Houthi? E che ruolo hanno nella tensione nella regione?
Ribelli yemeniti
Gli Houthi sono un gruppo armato yemenita, di religione islamica sciita zaidita, nato intorno al 1992 come movimento culturale. Dopo lunghi anni trascorsi in favore della gioventù dell’area nord-occidentale del Paese arabo, il gruppo deviò verso la violenza in concomitanza con l’invasione americana dell’Iraq del 2003. Nel tentativo di mettere a tacere le proteste, l’allora presidente yemenita Ali Abd Allah Saleh fece arrestare quasi 800 membri dell’organizzazione. Era il 2004. Di fronte al rifiuto del fondatore del gruppo, Husayn al-Houthi (da cui il nome), di partecipare a un incontro di pacificazione, Saleh lanciò un’offensiva durissima nei confronti del movimento.
Fu la scintilla. Gli scontri tra forze regolari e miliziani andarono avanti fino a un cessate il fuoco nel 2010. Ma la tregua durò poco. Nel 2011 scoppiarono pesanti rivolte in tutto il paese contro il presidente. Gli Houthi rifiutarono gli accordi di pacificazione mediati dai paesi confinanti (che prevedevano l’immunità di Saleh) e lanciarono l’offensiva contro la capitale Sana’a. Da qui gli eventi si fanno confusi. Il Paese arrivò sull’orlo del collasso, mentre i miliziani zaiditi conquistavano i governatorati occidentali. Nel gennaio 2015 consolidarono il controllo proprio sulla capitale, costringendo alla fuga il nuovo presidente Abd Rabbih Mansur Hadi. Da allora il conflitto si è fatto meno intenso, con gli Houthi concentrati nella lotta contro gli arcinemici di Al-Qaeda (sostenuti dai sauditi). Ad oggi si stima che la guerra civile in Yemen abbia causato il peggior disastro umanitario al mondo, con oltre 110 mila morti e almeno un milione di persone sull’orlo della carestia.
La lunga mano iraniana
Che dietro gli Houthi ci sia l’Iran è cosa ormai nota sin dal 2015. Il regime degli Ayatollah ha sempre cercato cellule sciite amiche in giro per il mondo arabo, nel tentativo di opporsi al potere sunnita dell’Arabia Saudita. Proprio i sauditi, insieme al governo legittimo dello Yemen e alla Giordania, hanno aperto un fronte di intervento contro i miliziani. La guerra tra le parti non si è mai interrotta, con sortite di entrambi gli schieramenti oltre i confini degli altri.
Gli Houthi non sono solo i rappresentanti dell’Iran nel sud della penisola arabica (come Hezbollah lo è nell’area israelo-libanese), ma sono soprattutto armati da Tehran. Missili, droni, armi leggere dell’arsenale ribelle arrivano soprattutto dai fornitori iraniani. Ma non solo. Molte munizioni e sistemi di sorveglianza sembra arrivino direttamente dalla Corea del Nord. Insomma, gli Houthi sembrano essere il partner privilegiato per quei regimi autoritari sempre più isolati nel contesto globale. E proprio l’amicizia con l’Iran fornisce la spiegazione per la crescente attività dei ribelli nel conflitto tra Israele e Hamas (formazione che, pur essendo sunnita, gode ormai del sostegno iraniano in ottica anti-israeliana e anti-americana).
Mar Rosso fuoco
Sin dal 7 ottobre Tehran si è schierata al fianco di Hamas. Ma un intervento dell’Iran sul terreno è impensabile: trascinerebbe l’intero Medio Oriente in una guerra su vasta scala, con tanto di intervento statunitense. Il rischio è troppo alto, e il presidente iraniano Ebrahim Raisi lo sa molto bene. Ha le mani legate, se non vuole che il suo Paese venga cancellato dalle carte. L’unica opzione dunque è aiutare Hamas e convincere altre parti, preferibilmente non “nazionali”, a attaccare Israele. Gli Houthi rientrano in questa categoria, come i loro alleati di Hezbollah. Ma c’è un problema non trascurabile: lo Yemen si trova a oltre 1500 chilometri dalla zona di guerra. Che fare allora?
Parole d’ordine: missili e droni. Non è chiaro di cosa dispongano gli Houthi ma, stando ai pochi dati disponibili, la loro arma a più lungo raggio dovrebbe coprire circa 1300 chilometri. Troppo pochi, anche se qualcosa è arrivato nell’area meridionale di Israele (forse droni lanciati dalla nave iraniana Beshad, all’ancora da mesi davanti alle coste yemenite come base avanzata del regime). E allora? Allora si punta al traffico mercantile. Sono già tre le navi da carico prese di mira dagli ordigni degli Houthi nel Mar Rosso, mentre una quarta sarebbe stata sequestrata con un abbordaggio in pieno stile pirateria. A questi atti ostili si aggiunge ora una nuova minaccia: ogni battello diretto o proveniente dal porto israeliano di Eilat sarà considerato un bersaglio. Un attacco alla libertà di navigazione in uno dei tratti marittimi più importanti per il commercio mondiale, rotta privilegiata tra l’Asia e l’Europa.
L’ipotesi di uno scudo antimissile
A essere preoccupati sono soprattutto gli Stati Uniti, che al momento costituiscono l’unico argine alla pioggia di razzi yemeniti. Nel Mar Rosso è schierato il cacciatorpediniere USS Carney, che finora ha provato a garantire copertura alle altre navi nell’area. Proprio il Carney sarebbe stato oggetto di uno degli attacchi degli Houthi, fallito. Da alcuni giorni gli americani sono in compagnia, con l’arrivo della fregata francese Laguedoc.
Washington punta alla formazione di una coalizione aeronavale nel Mar Rosso. Il primo atto, nel 2022, è stata la creazione della Task Force 135, con base in Bahrain, per pattugliare le vitali rotte commerciali del Canale di Suez e dello stretto di Bab-el-Mandeb (tra Arabia e Africa orientale). L’attività della coalizione si sommerebbe a quella della Combined Maritime Force delle Nazioni Unite, attiva da decenni per garantire il transito mercantile e la sicurezza navale nelle acque attorno alla penisola arabica. Ma alla formazione di una nuova alleanza, o peggio all’intervento militare diretto degli USA contro gli Houthi, si oppone per ora proprio l’Arabia Saudita. Il timore di Riad è che esacerbare la tensione tra Occidente e ribelli yemeniti possa far saltare i delicatissimi negoziati per un cessate il fuoco, in corso tra la milizia e il grande paese arabo. Insomma, per ora gli americani dovranno accontentarsi di intercettare missili. Nella speranza che la situazione non peggiori.