Domenica 26 novembre 2023 il ministro della Difesa Guido Crosetto, in un’intervista al Corriere della Sera, ha riacceso il mai sopito tema dello scontro tra governo e magistratura. Questo alla vigilia del Consiglio dei Ministri di lunedì 27 novembre, durante il quale il titolare della Giustizia, Carlo Nordio, ha fatto approvare il discusso decreto che prevede le “pagelle” per i giudici ogni 4 anni. Tra le misure di cui si è parlato, ma che per ora sembra lontana dall’attuazione, ci sono i test psicoattitudinali al momento dell’ingresso in magistratura. Test già applicati in vari ambienti, statali e non. Con pregi e difetti
L’approccio più “psico”
A cosa serve un test psicoattitudinale? Ad accertare che la persona che si sta valutando (di norma per un’assunzione) sia motivata verso quell’ambiente lavorativo e abbia una mente abbastanza rapida e agile nel districarsi nelle problematiche quotidiane. Un occhio di riguardo, del resto, è lasciato anche sulla stabilità psichica del candidato. Proprio su questo punto si concentrano i test per l’accesso alle forze dell’ordine e alle forze armate. Pur con qualche differenza, gli accertamenti psicoattitudinali sono tra le prime prove di selezione dei concorsi. Si compongono, di norma, di quattro parti: Minnesota Test, domande scritte a risposta aperta, colloquio psicologico e psichiatrico.
Il primo step è l’esame a crocette, il Minnesota. Un foglio con 567 domande a risposta multipla (vero/prevalentemente vero/prevalentemente falso/falso) da compilare in un tempo massimo di 120 minuti. I quesiti, denominati item, toccano sia aspetti caratteriali del candidato sia, mediante affermazioni che solo all’apparenza sembrano generiche e scollegate dall’ambiente di riferimento, eventuali tracce di disturbi psichici. Dopo aver completato questa prima parte si passa a un questionario a risposta aperta, centrato sulla motivazione del candidato rispetto al mondo militare o della sicurezza.
Terminata la fase su carta si passa ai colloqui psicoattitudinali. Dopo che le sue risposte sono state esaminate dalla commissione, il concorrente viene convocato dallo psicologo e poi dallo psichiatra. Con il primo vengono discusse le domande a risposta aperta, mentre il secondo tenterà di mettere in difficoltà il candidato sulle risposte meno “in linea” con il profilo ideale richiesto dalle forze armate o dell’ordine, emerse dal Minnesota. Al termine di tutti gli accertamenti, la commissione dichiarerà quali persone risultano idonee e quali no, stilando anche una graduatoria di “aderenza” ai requisiti concorsuali.
L’approccio più “attitudinale”
Se militari e agenti di polizia puntano soprattutto a selezionare persone senza disturbi, altre realtà preferiscono capire se la persona selezionata è portata per quel tipo di mestiere. È il caso, tra i tanti, delle Ferrovie dello Stato. Come racconta D.S., in servizio come capostazione, «ci sono due passaggi, uno scritto e uno orale».
Lo scritto è composto da una serie di quesiti logico-matematici, una parte di accoppiamento immagini simili «tipo memory», una di memorizzazione di sequenze di pulsanti da replicare poi nella realtà. Poi l’analisi delle priorità: viene presentato un testo che racconta una determinata situazione, fornendo tutti i dettagli possibili. Il candidato dovrà ordinare un certo numero di affermazioni in ordine di importanza decrescente, per lui, nel caso dovesse affrontare quel determinato scenario.
Il colloquio con lo psicologo, invece, è molto più concentrato sulla storia personale del candidato. «Ti chiedono cosa ti aspetti dal lavoro che farai, cosa hai studiato, se hai esperienze pregresse e di che tipo, con chi vivi, cosa fai nel tempo libero, perché ti ritieni idoneo a quella posizione». Insomma, ci sono notevoli differenze con il percorso valutativo militare. Si potrebbe parlare di due test psicoattitudinali non comunicanti, quasi di due categorie diverse di analisi. Eppure lo scopo è lo stesso: capire se l’aspirante lavoratore è idoneo o meno a ricoprire l’incarico.
Luci e ombre
Sulla carta i test psicoattitudinali sono un ottimo sistema per verificare l’aderenza di candidati a qualunque posizione al profilo ricercato dall’ente o dall’azienda. Non è un caso che negli ultimi anni sempre più aziende e enti pubblici abbiano aggiunto questo tipo di accertamenti alle procedure di ingresso. E altrettante realtà stanno valutando di adottare colloqui e prove scritte per controllare chi assumere. Si parla degli insegnanti, e negli ultimi giorni dei magistrati.
Ma i test psicoattitudinali non sono la panacea di tutti i mali. Al contrario, aggirare il rilevamento di problemi o mancanze è piuttosto semplice. D.S. ricorda bene la domanda dello psicologo: «In famiglia ci sono persone che hanno psicopatologie o che si sono rivolte a specialisti in passato?» E ricorda altrettanto bene cosa ha pensato: «Se anche fosse, ti pare che lo verrei a dire a te?» Anche nel mondo militare i modi di “fregare” ci sono, soprattutto nel caso del Minnesota: il documento attuale è stato messo a punto negli anni ’90 e le domande, ben rodate, non cambiano. Questo significa che qualunque candidato potrebbe sapere in anticipo cosa rispondere ai vari quesiti. È esattamente ciò che fanno le molte agenzie di preparazione ai concorsi militari esistenti in Italia: formare gli assistiti dicendo loro quali opzioni selezionare. Con l’ovvia conseguenza di falsare i risultati del test.
Un argine, in realtà, ci sarebbe, ed è ancora il mondo delle forze armate e dell’ordine a fornirlo. Gli accertamenti psicoattitudinali del settore non si limitano alle prove sostenute dal candidato. Al momento del colloquio non è raro che psicologi e psichiatri facciano riferimenti espliciti alla vita personale di chi hanno davanti. Riferimenti che solo un’approfondita indagine preliminare sulla persona possono portare alla luce. Questo servirebbe: una verifica a due livelli, che possa contrastare reticenze e risposte costruite. Se ciò dovesse essere realtà, allora sì: i test psicoattitudinali andrebbero introdotti in quasi tutti i settori d’impiego.