3 settembre 1982. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, allora Prefetto di Palermo, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo vengono trucidati in un agguato mafioso in via Carini.
Dalla Chiesa e la moglie erano in auto per andare a cenare in un ristorante di Mondello, seguiti da un’Alfetta guidata dall’agente di scorta, quando un commando di Cosa Nostra li raggiunse e aprì il fuoco con fucili d’assalto. I coniugi morirono sul colpo, l’agente dopo dodici giorni di agonia.
Intervista a Paolo Setti Carraro, fratello di Emanuela, uccisa dalla mafia nel 1982 insieme al generale Dalla Chiesa
A 42 anni dalla strage di via Carini, il fratello di Emanuela, Paolo Setti Carraro ripercorre il ricordo della sorella e racconta il suo percorso di giustizia riparativa e l’incontro con i detenuti e gli autori di reato.
«Mi ci sono voluti anni per elaborare il lutto di mia sorella. Ho vissuto tantissimi anni covando molta rabbia, poi è arrivato un momento della mia vita in cui ho deciso di intraprendere un percorso di mediazione giudiziaria – racconta Paolo Setti Carraro – e ho iniziato a frequentare il Gruppo della Trasgressione. Cittadini, detenuti, ex detenuti, familiari di vittime innocenti di mafia e di incidenti stradali.
Per noi familiari arrivare in carcere è un’esperienza molto forte perchè presuppone un cambiamento radicale: va spostato il fuoco dal trauma al futuro. Questo comporta sia un distacco sia l’accettazione di rimodulare la propria vita e le proprie aspettative e, inevitabilmente, si ha il profondo senso di colpa di tradire la carne della tua carne. Ancora oggi non è facile ed è molto doloroso.
L’incontro con i detenuti è un punto d’arrivo, devi essere pronto ad affrontare persone che hanno commesso dei reati e che molto spesso hanno alle spalle decenni di sofferenze in carcere. Devi essere capace di accogliere il loro dolore, confrontandolo per certi versi con la tua sofferenza. Io non ho fatto nulla per meritarmi il dolore che mi è stato inflitto, loro hanno la responsabilità di aver causato del male, ma espiare la pena in carcere provoca molto dolore.
Il carcere non è soltanto privazione di libertà, dovrebbe esserlo, ma in realtà ti toglie tanti altri diritti in modo da non permetterti di essere un genitore responsabile. Eppure, anche i criminali, nonostante compiano reati inauditi, sentono la responsabilità verso i figli e la famiglia e vorrebbero poter essere responsabili.
Questa esperienza mi ha aiutato a rileggere il ruolo della rabbia nella mia vita, a capire anche dove ti può portare e quali fantasie vengono nutrite dal rancore. Questo percorso mi ha aiutato a comprendere meglio i pensieri e le attività criminali. Perchè, in fin dei conti, ti rendi conto che ci sono circostanze in cui anche le persone “civili”, in realtà, possono arrivare ad avere dei comportamenti molto simili a quelli dei “cosiddetti criminali”».