Veronica D’Incà, Li Tjanjiao, Silvia Salvarani, Alfina d’Amato. Quattro ciclisti. Tutti morti in incidenti stradali tra le vie di Milano negli ultimi quattro mesi. Due di questi sono avvenuti con la stessa dinamica: sono stati travolti da un mezzo pesante che, svoltando a destra a un incrocio, non li ha visti. La colpa è del cosiddetto “angolo cieco”, la porzione di strada che resta invisibile per il guidatore.
1251 incidenti in un anno
Non si tratta di una coincidenza. A Milano gli incidenti con lesioni che coinvolgono le biciclette sono in aumento. Secondo gli ultimi dati Istat, nel 2021 ci sono stati 1251 incidenti in cui è stata coinvolta almeno una bicicletta, elettrica o tradizionale. In crescita rispetto al 2020, un anno anomalo per i blocchi alla mobilità dovuti alla pandemia. In aumento anche rispetto al 2019 e 2018, quando sono stati rispettivamente 980 e 990. Per
il 2022 non ci sono ancora dati completi, ma l’Areu (Agenzia regionale di emergenza e urgenza) ha stimato 668 incidenti che hanno coinvolto ciclisti nei primi otto mesi dell’anno.
La protesta degli attivisti
«Io voglio solo continuare a pedalare. Faccio sempre molta attenzione, sia quando mi sposto da sola sia quando sono in gruppo, ma adesso ho un’ansia costante. Le macchine e le betoniere, unite alla poca sicurezza, mi agitano», spiega Ilaria Fiorillo, influencer e attivista della mobilità in bicicletta. I pericoli peggiori per gli utenti più vulnerabili della strada, ciclisti e pedoni, sono due: gli incroci e i rettilinei. Il 43,8% degli incidenti è avvenuto in corrispondenza di un’intersezione, il 20% dei casi segnalata da un semaforo o da un vigile.
Il 50,7%, invece, si è verificato su un rettilineo, dove le automobili superano i limiti di velocità. «Il Movimento Salvaiciclisti è da dieci anni che chiede più sicurezza per le strade. Ci sono voluti dei morti per far smuovere un po’ le cose – continua l’attivista Angelo Barney Lisco. Servono dei percorsi omogeni per muoversi in tutta la città».
Le soluzioni del Comune
In questi anni, le amministrazioni di centrosinistra, Pisapia e Sala, hanno investito molto sulla costruzione di nuove piste ciclabili e sulla graduale estensione delle “zone 30” all’intero territorio cittadino entro il 2024. Lo scorso gennaio, il consigliere comunale Marco Mazzei ha presentato il documento “Milano a 30 km/h, la velocità giusta per la sicurezza di tutte e tutti”.
A partire dal 1° gennaio 2024, invita la giunta a istituire un limite di velocità in ambito urbano a 30 km/h e a stabilirne uno a 50 km/h sulle strade a grande scorrimento. «Sono appena tornata da un viaggio in Germania. Lì bambini e ragazzi vanno in bici tranquillamente perché ci sono le infrastrutture adeguate, come la segnaletica e altri accorgimenti per le strade – spiega Ilaria. Però, è la mentalità degli automobilisti a fare la differenza: non ti senti in pericolo perché ti rispettano in quanto in ciclista».
Le “ricette” per una mobilità in sicurezza, dunque, arrivano già da diverse città europee come Bruxelles, Parigi, Grenoble, Helsinki, Valencia, Zurigo, Lille, Bilbao. Milano è rimasta
indietro. «Non c’è da inventarsi nulla, basta guardare a queste città che ci stanno riuscendo. Nessuno dice che Milano non sia un posto “complesso”. Anche Londra lo è, perché allora le cose lì funzionano diversamente?».
Città 30, ma non solo
Nel capoluogo lombardo, per potenziare la sicurezza dei cittadini che si muovono in bici, oltre alla zona 30, sono stati proposti dei dossi artificiali per limitare la velocità, cordoli ai lati delle piste ciclabili e un kit per i mezzi pesanti in grado di rilevare ostacoli nell’angolo cieco. «Le strategie e le protezioni che il Comune vuole adottare non bastano se non sono accompagnate da un cambiamento culturale», continua Angelo.
Non tutti i cittadini, infatti, sono d’accordo con queste trasformazioni urbanistiche, perché sono viste come un ostacolo per gli automobilisti. Così succede che c’è anche chi prende “simbolicamente” a martellate i cordoli della pista ciclabile in Corso Buenos Aires per smantellarli. «Le persone devono mettersi in testa che la bicicletta non è solo uno svago, ma è anche un mezzo di trasporto. Non esiste solo la macchina. Finché per le istituzioni la sicurezza per i ciclisti e i pedoni non sarà un tema prioritario, difficilmente le cose cambieranno».