Da dove nasce il male? Questa è la domanda a cui prova a rispondere Stefano Nazzi, giornalista e autore del podcast Indagini, nel suo libro “Il volte del male”. Dieci storie di efferati assassini, «persone che hanno fatto male agli altri», presentato al Salone del Libro di Torino insieme a Luca Sofri, direttore del giornale online il Post.
Il fattore D
Alcuni ricercatori lo chiamano “fattore D”, fattore Dark, spiega Nazzi: «Ci sono persone che si sentono a tal punto importanti, che pensano solo a sé stessi, ai propri obiettivi e che sono pronti a eliminare tutto il resto».
La tendenza a massimizzare la propria utilità individuale, però, è sempre la conseguenza di ciò che si è costruito nel tempo, non sempre giustificabile con la follia o con malattie della psiche. «Non si può sempre giustificare il male con malattie o disturbi. La criminologa Isabella Merzagora spiega che i cattivi esistono, non sono tutti matti. Ci sono persone che, per raggiungere il proprio obiettivo di soddisfazione personale, oltrepassano il confine di rispetto per tutti gli altri», aggiunge Nazzi.
I fatti nudi e crudi
Questi casi di cronaca nera e giudiziaria provano a raccontare, oltre all’omicidio in sé, ciò che è successo il dopo: le indagini e il processo. «Provo a raccontare come si è arrivati a quel punto e cosa è successo dopo. Ci sono mille rivoli, non è tutto bianco o nero». Ma soprattutto spiegano come ogni azione violenta è la conseguenza di ciò che si è costruito nel tempo. «Mi sono sempre occupato di cronaca, seguendo i casi più conosciuti – il primo è stata la Strage di Erba – ma anche le vicende meno note» – racconta – «Spesso il racconto non è più basato sui fatti, ma su interpretazioni, che conducono già il lettore o l’ascoltatore a un preconcetto». Come se ci fosse già una conclusione, ma così non è. «Ho voluto narrare avvenimenti, spogliandoli di tutto ciò di cui venivano caricati normalmente sui giornali o in tv, senza emotività o dolore inutile perché sono fatti dolorosi già di per sé».
C’è un caso, però, di cui vorrebbe occuparsi, ritornando alle origini. «Sono stati scritti 45 libri su Emanuela Orlandi. In gran parte di questi c’è la parola “verità” e tutti ne danno un’interpretazione. Sappiamo troppo, ma non c’è un solo riscontro oggettivo di quello che viene detto e raccontato. Sappiamo solo che è scomparsa».