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Germania, Francia, Italia, Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Finlandia e Slovenia. Sono i nove Paesi che insieme, «come un gruppo di amici» dicono, il 4 maggio hanno lanciato un’iniziativa per riformare il sistema di voto dell’Unione europea. La proposta è di superare la regola dell’unanimità sulle scelte che riguardano la politica estera e la sicurezza, regola che finora ha permesso a ogni Stato di esercitare il diritto di veto su tutte le decisioni in questi ambiti. I ministri degli Esteri dei nove Paesi membri hanno proposto, quindi, di passare al sistema di votazione già adottato in Europa in molte altre materie, ossia quello della maggioranza qualificata, «Un processo decisionale più efficace e veloce, decisivo per preparare l’Unione europea al futuro e renderla un attore geopolitico», hanno detto. La modifica del sistema di voto su materie di sicurezza e difesa riapre un’altra questione, anch’essa annosa: quella della creazione o meno di un esercito comune europeo. È dagli anni cinquanta, dai tempi del progetto di Comunità Europea di Difesa, che se ne parla, ma a che punto è il progetto di un esercito comune?
VOCE: il cancelliere tedesco Olaf Scholz a Strasburgo il 9 maggio
«Non è l’unanimità, non è l’accordo al 100% su tutte le decisioni a creare la massima legittimità democratica possibile, ma la ricerca di compromessi che rendano giustizia anche agli interessi della minoranza», così il cancelliere tedesco Olaf Scholz il 9 maggio, giorno della Festa dell’Europa, ha ribadito davanti al Parlamento di Strasburgo l’urgenza di un cambiamento epocale, appunto quello del passaggio al voto di maggioranza qualificata nelle materie di politica estera e sicurezza. Ma perché questa urgenza? Se c’è una cosa che la pandemia da Covid-19 e la guerra in suolo europeo hanno reso palese è che l’Unione ha bisogno di adottare una linea d’azione comune per agire tempestivamente in situazioni di crisi e non solo. Fino a quando ci sarà il diritto di veto, però, un solo Paese potrà bloccare decisioni cruciali e necessarie, come è successo quando l’Ungheria ha votato per mesi contro l’embargo sul petrolio russo, per fare un esempio. Al momento solo nove Stati si sono dichiarati favorevoli a questo cambiamento. Troppo poco perché si riesca nell’intento di fare cadere il diritto di veto, che per molti Paesi viene visto come una prerogativa fondamentale per far valere la propria sovranità nazionale anche di fronte ai membri più forti dell’Unione, soprattutto Germania e Francia.
A fare le spese di questa querelle è quindi la politica di difesa che non dispone di un esercito europeo. Per farla semplice, un esercito comune potrebbe avere dei vantaggi anche in relazione alla Nato, perché permetterebbe ai Paesi membri dell’Unione europea di ridurre la propria dipendenza nei confronti dell’alleanza atlantica, e quindi di fatto nei confronti degli Stati Uniti, pur rimanendo all’interno dell’architettura di sicurezza transatlantica. Inoltre, sarebbe un modo per avere una maggiore condivisione delle risorse militari tra gli Stati membri, riducendo i costi e ottimizzando l’utilizzo delle capacità militari disponibili. Il processo di convergenza delle risorse, in realtà, è partito già l’anno scorso, subito dopo l’invasione russa in Ucraina. Il 21 marzo 2022 la Commissione ha presentato la Bussola Strategica per la difesa comune 2030, un piano di cooperazione che lascia aperta l’ipotesi di un esercito comune e che ha come obiettivo la creazione di una Forza europea di reazione rapida con almeno 5/6 mila soldati. Alcuni timidi segnali di condivisione delle spese militari ci sono già stati. Per esempio, c’è stata l’approvazione della proposta di un piano munizioni europeo per aiutare Kiev e per riempire i magazzini degli Stati membri, svuotati proprio a causa della guerra.
In ogni caso, è chiaro che se mai ci sarà un esercito europeo il traguardo è ancora molto distante. Me lo ha spiegato brevemente, Pina Picierno, vicepresidente del parlamento europeo. Le ho parlato a margine di un incontro incentrato proprio sull’impatto della guerra nei processo decisionali dell’Unione europea in materia di sicurezza. Ecco che cosa mi ha detto.
A che punto siamo con la creazione di un esercito comune europeo?
Pina Picierno: Intanto c’è una prima grande, buona notizia: che la consapevolezza della necessità di una difesa comune è ormai assunta. C’è la consapevolezza di tutti quanti che è necessario appunto lavorare in questa direzione, per una serie di ragioni. Banalmente per rendere la nostra difesa efficace ed efficiente, perché noi ora abbiamo tanti sistemi di difesa nazionale molto obsoleti, che costano pure un sacco di soldi ai Paesi membri. Quindi questa direzione sembra insomma abbastanza acquisita, c’è questa consapevolezza.
I tempi per realizzarla, naturalmente, sono ancora molto molto incerti. Però, c’è un dibattito molto avanzato sulla necessità di un esercito comune, sulla necessità di mettere i fondi che sono necessari per la difesa e per la sicurezza all’interno di un bilancio comune. Quindi la direzione è segnata. Ora dovremo lavorare per passare dalla teoria alla pratica, che come sempre è il passaggio che richiede maggiori difficoltà, ma io sono ottimista perché come ho detto anche al panel che abbiamo appena concluso, l’emergenza ucraina ci mette di fronte alle responsabilità che abbiamo come grande potenza politica. L’Europa non è un contratto tra nazioni, non è soltanto una potenza economica. Molti vorrebbero che fosse soltanto questo, ma in realtà abbiamo assunto, credo ora totalmente dopo l’invasione Ucraina, la consapevolezza che dobbiamo svolgere un ruolo diverso. Questo significa naturalmente essere pienamente una democrazia europea capace appunto di fare scelte, di decidere in politica estera, superare il diritto di veto, insomma di fare tutte le cose che sono necessarie per andare nella direzione che abbiamo detto.
In sintesi, l’idea di un esercito comune europeo ha ancora molti ostacoli da superare, tra cui la questione del finanziamento e del coordinamento delle forze militari degli Stati membri dell’Unione europea. Tuttavia, gli sviluppi recenti mostrano la volontà crescente tra i Paesi membri di collaborare nell’ambito della politica estera e della sicurezza.
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