Per le strade affollate di Verona, una ragazza è insultata ripetutamente dal padre con epiteti che ne mettono in dubbio la moralità (parole con molte z, c, p, t). Motivo della discordia: il fidanzato della giovane non piace all’uomo, che invece la vedrebbe bene con un altro. Padre e figlia sono molto conosciuti e le centinaia di persone che assistono alla scena sanno perfettamente che la ragazza è altro rispetto agli insulti ricevuti. La reazione della gente è spiazzante: tutti ridono.
Non è un caso di cronaca veneta, ma quello che è accaduto al Teatro Piccolo di Milano durante una rappresentazione del “Romeo e Giulietta” di Mario Martone. Padre e figlia sono il capofamiglia dei Capuleti e Giulietta. La gente il pubblico, quasi coetaneo dei personaggi shakespeariani. Una platea che dovrebbe essere molto sensibile al politicamente corretto e a scene come quella descritta, ma che invece ride.
Sarà la quinta parete che rende tutto distante, sarà che ormai l’uso inflazionato di quelle che un tempo erano definite parolacce ha diminuito il loro potere d’offesa, così come l’inflazione diminuisce il potere d’acquisto. O forse, come ha detto Massimo Bernardini nella sua recensione, «oggi sembra tutto vecchio e corrotto: la coppia come la politica, il matrimonio come le nostre nobili istituzioni, i gesti come le parole».
In ebraico, dabar significa “parola”, ma anche “azione”. A pensarci bene, quando Harry Potter dice «Expelli armus» non pronuncia solo un incantesimo, fa accadere qualcosa. Oggi molte parole non solo non corrispondono ad azioni (chissà se tutte le volte che si chiama qualcuno “amore” lo si ama veramente), ma hanno perso il loro significato originale (difficile accostare alla Giulietta di Shakespeare aggettivi con molte z, c, p, t).
Nello spettacolo, Giulietta non si offende per gli insulti del padre, perché è innamorata di Romeo e di nessun altro. Il pubblico non si scandalizza, tanto quello che vede non è vero. Nella vita di tutti i giorni, potrebbe essere utile usare lo stesso metro di giudizio di fronte alle parole che ci raggiungono. La verità ci renderà liberi: di ridere, di piangere, di arrabbiarci. Con un motivo valido almeno.