La settimana lavorativa di quattro giorni è un successo per tutte le aziende che l’hanno sperimentata. In Italia sono ancóra poche le realtà che la adottano. Non mancano, però, gli esempi positivi.
La sperimentazione in Gran Bretagna
A febbraio sono stati pubblicati i dati del più grande esperimento al mondo condotto su questo tema: nel Regno Unito da giugno a dicembre 2022 circa tre mila lavoratori hanno ridotto il proprio monte ore settimanale. Il risultato è stato un successo: la grande maggioranza delle aziende coinvolte ha dichiarato di voler mantenere la settimana lavorativa di quattro giorni.
Intervista a William Griffini
Nel capoluogo lombardo, da oltre tre anni, la società di consulenza e head hunting Carter & Benson ha scelto di concedere alle persone la flessibilità nella gestione del proprio orario lavorativo in funzione delle proprie esigenze e del proprio benessere. William Griffini, amministratore delegato della società milanese, racconta come l’azienda sta investendo nella sostenibilità.
Dottor Griffini, Carter & Benson ha annunciato il progetto sperimentale di settimana corta nel dicembre 2019 e lo ha avviato a gennaio 2020. Come è nata l’idea di adottare la settimana corta ancóra prima della pandemia?
C’era un tema di riequilibrio tra lavoro e vita privata; è stato pensato perché volevamo mettere l’accento su una migliore gestione di questo tipo di equilibrio. Quindi lavoriamo sul “come” e non solo sul “quanto”. Abbiamo spostato l’attenzione sulla qualità. Ne è nato un progetto sperimentale che ci ha dato segnali più che positivi e così lo abbiamo intrapreso. La consulenza strategica è un tipo di lavoro che normalmente impegna molto, non si stacca mai, per cui, per portare avanti questo progetto, la nostra attenzione non è andata solo sulla redistribuzione dei carichi di lavoro, ma anche sul concetto di responsabilità individuale del ruolo di ogni membro del team e sulla fiducia da parte dell’azienda.
Lei ha detto che un calo della produttività è inevitabile, ma l’azienda compensa puntando sull’innovazione tecnologica e nuove assunzioni. Dopo più di tre anni lo ritiene un modello economico sostenibile?
Assolutamente sì. Anzi, devo dire che abbiamo innovato tantissimo sulla qualità del prodotto, che in questo caso è un servizio. Tecnicamente ci siamo incentrati molto sulla parte qualitativa, sulla responsabilità verso l’impresa, sull’autonomia. Quindi sì, l’evoluzione qualitativa è stata molto alta e molto misurata. Parliamo però sempre di aspetti che sono legati alla qualità della vita, le emozioni non sono aspetti che hanno un parametro economico e contributivo, sono aspetti che hanno un parametro qualitativo; quindi, non li puoi sovrapporre alla produttività o alla capacità di produrre. Questa visione tocca tutt’altro tipo di aspetto che non ha nulla a che fare con le fatture ma incide sul modo di lavorare. Bisogna cambiare il paradigma e smettere di cercare a tutti i costi di misurare i risultati di un’azione.
A febbraio avete proposto ai vostri dipendenti la Smart Week. In che cosa consiste?
La settimana corta, nell’accezione comune, era sempre stata concepita come “il venerdì non lavori”, cosa per noi poco vera. Anche il tipo di lessico utilizzato è diverso: la persona non è più collaboratore o dipendente ma “collega”. Così, in un certo senso, cambia la gerarchia. Ognuno ha una mansione diversa, io sono il CEO, un altro sarà il centralinista ma siamo due persone che appartengono allo stesso sistema. Lo stesso concetto vale quando parliamo di “smart week” o di “settimana corta”. Se continuiamo a chiamarla settimana corta l’idea ricorrente è che sia una semplice riduzione delle giornate di lavoro. Invece, la Smart Week, è un concetto in cui ognuno può distribuire a proprio piacimento le otto ore in meno. Quindi, entrare tardi, uscire prima, accorpare le ore alla settimana seguente, la scelta è individuale in funzione delle proprie esigenze o piaceri… in sostanza si deve poter lavorare meglio.
Qualche giorno fa sono stati pubblicati i positivi risultati dell’esperimento della settimana lavorativa di quattro giorni in Gran Bretagna. Vi ritenete una realtà all’avanguardia?
Assolutamente sì. Alcuni di questi risultati li sposo, altri non sono molto veritieri. Però, tendenzialmente credo che possiamo essere un esempio estremamente virtuoso, perché abbiamo sempre cercato di tenere la persona al centro e non il risultato. Quindi sì, secondo noi abbiamo applicato un modello nel modo giusto. Abbiamo deciso di non stare attenti a tutte le unità di misura che permettono all’economia di giustificare l’azione, ma ci siamo concentrati sulla felicità e sul benessere delle persone. Questo è il parametro che ci interessa: che le persone stiano bene e non se ne vogliano andare. Non abbiamo voluto misurare produttività, efficientamento o qualsiasi altra azione di natura economica.
Dall’ottobre 2021 siete diventati Società Benefit. Cosa significa?
Alla fine dell’anno bisogna redigere un bilancio in cui non si parli solo dei numeri ma anche delle azioni che l’azienda ha portato avanti in termini di sostenibilità. È un approccio culturalmente più vicino alla restituzione sociale, che indica cosa l’azienda ha fatto per la città, per la regione, per il Paese e per le persone. Non si ha nessun tipo di vantaggio fiscale o contributivo, è una dichiarazione di responsabilità.
Possiamo dire che state investendo sulle persone?
Non stiamo investendo solo sulle persone. Lavoriamo su tutte le tematiche ESG (ambientali, sociali, etiche). Le persone sono il tema al centro di tutto. Stiamo cercando di lavorare su tutta una serie di temi che sono ambiente, persone, sociale, welfare, che siano il più possibile “rotondi”, in questo sistema economico.
Anche Lei lavora quattro giorni?
Sì, anche meno a volte. Da imprenditori si è costretti a lavorare sempre e mai. Anche io cerco di avere il mio equilibrio, a volte riesco, a volte no.