Il 1 febbraio è il World Hijab Day, la giornata mondiale dedicata al velo islamico. La ricorrenza nasce nel 2013 dall’attivista Nazma Khan, che ha avuto l’idea come mezzo per promuovere la libertà personale di espressione religiosa. Lo scopo è quello di invitare le donne, musulmane e non, a indossare per un giorno l’hijab come gesto di inclusione e solidarietà. Mandare un messaggio contro le discriminazioni e i pregiudizi: questo è lo scopo dell’iniziativa.
Ma, se il progetto da un lato ha riscosso larghi consensi, è stato anche oggetto di polemiche. Secondo molti, infatti, contrastare l’islamofobia va ben oltre l’utilizzo strategico di un “capo d’abbigliamento”. Se è vero, però, che “l’importante è che se ne parli”, la giornata ha dato modo di ampliare la conoscenza di una realtà che sembra ancora troppo lontana.
«Indossare il velo è un atto femminista»: la storia di Aya, milanese e musulmana
Aya è una ragazza milanese, ha 23 anni ed ha origini egiziane. È musulmana, ed è il perfetto esempio di chi sceglie di indossare il velo con orgoglio, come atto di libertà. La giovane ha una passione per la moda, studia scienze politiche, e su Vice Italia spiega cosa tutto questo significhi per lei.
Aya si definisce femminista poichè, spiega, «femminista è una persona che crede nella parità sociale, economica e politica tra i sessi. La parola chiave qui è parità, non uguaglianza: l’uguaglianza spesso neutralizza le differenze, più che includerle, e può creare ingiustizia. La parità, al contrario, si basa su un sistema “proporzionale” che comprenda le differenze essenziali e cerchi di portare tutti sullo stesso livello, tutelando i diritti di ciascuno. Io penso che questo rispetti pienamente la mia fede (nonostante sia diffuso il pensiero contrario): la mia decisione di indossare il velo non è solo un atto di amore verso Dio, spirituale e di espressione della mia identità. Per me è un gesto di forte riappropriazione del sé».
La differenza rispetto al femminismo storico è la plasticità dei simboli: il velo oggi per molte giovani musulmane, tra le quali Aya, non rappresenta la loro appartenenza al genere femminile. «Quello che mi auguro più di tutto è che le persone possano comprendere veramente il concetto di libertà di scelta del femminismo. La libertà di scelta di una donna di fare quello che vuole. La libertà di scelta di una donna di scoprire o coprire il suo corpo. Sono due facce della stessa identica libertà»