Brutte notizie per Google: dopo i 12 mila licenziamenti annunciati la scorsa settimana, il Dipartimento di Giustizia (DoJ) e otto Stati USA, tra cui New York, California e Virginia, accusano il gigante tech di Mountain View di monopolio illegale sul mercato della pubblicità online. La denuncia chiede al tribunale di obbligare il gruppo californiano a separare le sue attività in campo pubblicitario dalle altre attività dell’azienda, in un procedimento chiamato “spezzatino”. In sostanza, Google dovrà dissociare il suo servizio che gestisce la compravendita di pubblicità online (Google Ad manager), cedere la piattaforma di scambio degli annunci (AdX) e disinvestire dalle acquisizioni giudicate anti-competitive come quella di DoubleClick del 2008 e AdMon del 2009.
Le accuse
Secondo il Governo, Google ha affermato la propria posizione dominante “neutralizzando o eliminando” i rivali tramite acquisizioni e costringendo gli inserzionisti a utilizzare i suoi prodotti. Così facendo, avrebbe reso difficile utilizzare i servizi offerti dai concorrenti. Nell’accusa presentata all’antitrust il procuratore generale sottolinea che «Google ha perseguito una condotta anti-concorrenziale per 15 anni» e, così facendo «ha scoraggiato l’innovazione nell’industria della pubblicità digitale impedendo al libero mercato di funzionare in modo equo».
I precedenti
L’azione legale sarà il secondo caso aperto dal dipartimento contro Google per ragioni monopolistiche: già nel 2020 l’amministrazione Trump aveva citato in giudizio il gruppo guidato da Sundar Pichai sostenendo che attuava pratiche commerciali anti-concorrenziali nel settore delle ricerche online. Il processo è atteso per il prossimo settembre.
Per Google, questa è la quinta grande causa negli Stati Uniti che mette in discussione le sue pratiche commerciali. L’azienda è già stata accusata di esercitare una posizione dominante nel mercato delle ricerche online (attraverso l’omonimo motore di ricerca), in quello della pubblicità e in quello delle applicazioni per dispositivi mobili che utilizzano il sistema operativo Android (sviluppato da Google).
La difesa della società
Con un post sul proprio blog ufficiale, l’azienda di Mountain View ha rigettato le accuse dichiarando che la causa «si basa su un’argomentazione errata che rallenterà l’innovazione, aumenterà le tariffe pubblicitarie e renderà più difficile la crescita di migliaia di piccole imprese e editori». Inoltre, Google contesta la definizione di “soggetto dominante” affermando, al contrario, che il settore della pubblicità online sia molto competitivo. Tra le aziende rivali individuate dalla società ci sono Meta (proprietaria di Facebook, Instagram e WhatsApp), Amazon e Microsoft (che gestisce un servizio di advertising precedentemente noto come “Bing Ads”).
La denuncia punta a fare luce sulla gestione della pubblicità da parte di Google, che ricava dalle inserzioni l’80% dei suoi guadagni. In particolare, il gigante tech nasconderebbe la percentuale trattenuta e la cifra che destina alle testate giornalistiche online. Gli abusi di posizioni dominanti da parte di Google sono stati oggetto di indagini e provvedimenti anche nell’Unione Europea. Lo scorso settembre la società è stata multata per complessivi 8 miliardi di euro in tre diverse procedure.