La nostra realtà è stata recentemente scossa da una guerra che ha raggiunto le porte dell’Europa. Ci sono però tante altre situazioni simili in tutto il mondo, a cui dovremmo prestare attenzione.
Secondo l’organizzazione non governativa Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED), gran parte del nostro pianeta è interessato da conflitti di vario genere. ACLED si occupa di raccogliere e analizzare i dati relativi a guerre, scontri e violenze in corso, fornendo un quadro completo della situazione mondiale. Come ogni anno, l’organizzazione ha stilato un elenco di 10 conflitti e crisi a rischio peggioramento nel 2022, in cui compaiono Etiopia, Yemen, Sael, Nigeria, Afghanistan, Libano, Sudan, Haiti, Colombia e Myanmar.
PERCHÉ QUESTA RUBRICA
Di questi conflitti, un po’ per la distanza dalle nostre vite quotidiane, un po’ perché la stampa non può davvero occuparsi di tutto, non sentiamo quasi mai parlare. Quelle rare volte in cui fanno capolino nelle nostre esistenze è perché qualcosa di particolarmente grave, o potenzialmente importante per il nostro quieto vivere, è accaduto.
Ecco perché siamo qui. “Through the Barricades” si propone come una finestra su queste realtà, poco raccontate e conosciute. Pensiamo sia importante avere un quadro completo della complessità del mondo in cui viviamo, anche e soprattutto di quei conflitti spesso “dimenticati” o ignorati. Non abbiamo la presunzione di portarvi verità assolute o analisi nei minimi particolari di quello che accade nel mondo. Considerate questa rubrica come un’infarinatura geopolitica e militare, come una piccola luce che dice: “Qui c’è qualcosa che vale la pena sapere”.
LA GUERRA IN UCRAINA
Dopo averla citata in apertura, è impossibile non parlarvi della guerra in Ucraina. Un conflitto che si trova ancora al centro del dibattito pubblico e politico del mondo occidentale. Ciò probabilmente è dovuto al fatto che, dopo anni, uno scontro di questa portata si è avvicinato tanto alle nostre vite, ha invaso le nostre case con aggiornamenti in TV 24 ore su 24 e continua ad essere la più grande preoccupazione europea, viste tutte le conseguenti implicazioni nell’ambito energetico.
Facciamo un passo indietro.
Era l’ormai lontano 24 Febbraio, quando tutti ci siamo svegliati con una notizia quasi impossibile da concepire per la nostra generazione: la Russia invade l’Ucraina. Da quel giorno tutto è cambiato, è iniziata una guerra che ancora oggi va avanti, con migliaia di vittime e una fine che sembra ancora molto lontana. Le cause del conflitto però non risiedono nell’atto dell’invasione delle truppe di Putin nel territorio del Donbass, hanno invece radici più profonde di natura politica. La Russia ha da sempre dichiarato la sua contrarietà al desiderio ucraino di aderire alla NATO (l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord istituita il 24 agosto 1949 che prevede la collaborazione nel settore della difesa per tutti e 30 i paesi membri), quanto più temeva l’avvicinamento dello stato al mondo occidentale e statunitense. Quell’adesione avrebbe infatti permesso ai membri dell’organizzazione, tra cui gli Stati Uniti, di stabilire in Ucraina basi e radar, riducendo l’influenza del Cremlino in quell’area.
IL PUNTO DI VISTA GEOPOLITICO
Il territorio Ucraino è diventato indipendente nel 1991 dopo essere stato per anni sotto l’orbita sovietica. Ancora oggi sono presenti minoranze russe e di lingua russofona nella penisola della Crimea e nell’Ucraina sud-orientale. D’altra parte, l’Ucraina è un importante hub energetico verso l’Europa.
Differenze tra Est e Ovest dell’Ucraina
Esistono quindi due orientamenti, uno filo-europeo prevalentemente radicato nell’Est del Paese, e uno filo-russo, che raggruppa le regioni nel Sud-Ovest (quindi il Donbass con i due stati separatisti non riconosciuti, e cioè la Repubblica popolare di Donetsk e la Repubblica popolare di Lugansk, dove il russo continua a essere la prima lingua) ancora sentimentalmente legate alla “Madre Russia”.
Il difficile equilibrio tra Europa e Russia
L’orientamento occidentalista è emerso in particolare dopo il 2013, in seguito alle proteste anti governative dovute alla mancata firma dell’Accordo di associazione e di stabilizzazione (Asa) con l’Unione Europea da parte dell’allora presidente Viktor Janukovyč. Dopo la fuga dell’ex presidente a causa delle forti rivolte pro-Europa, nel 2014 il popolo ucraino instaura un governo ad interim filo-europeo non riconosciuto dalla Russia. Così Putin, rivendicando il suo diritto sull’Ucraina, da lui definita un’unica nazione insieme alla Russia, decide di annettere la penisola di Crimea con l’appoggio dei separatisti filo-russi. Una guerra formalmente chiusa con i patti di Minsk 2 del 2015, ma che, come abbiamo visto, gli lasciò ancora qualche sassolino nella scarpa.
Allora come adesso, il presidente russo aveva insistito su un punto focale della sua propaganda: un popolo, una cultura, una lingua (ovviamente il russo). La lingua diventa infatti un’arma, una scusa per agire in quella che Putin ha definito “un’operazione militare speciale volta a denazificare la leadership ucraina e proteggere i russofoni della regione del Donbass”, o addirittura uno strumento per impadronirsi di qualcosa o qualcuno.
Il possibile cambio di assetto dell’ordine mondiale
Il conflitto russo-ucraino sta provocando una grave crisi energetica che potrebbe dimostrarsi economicamente disastrosa sia per la Russia che per l’Unione Europea, a causa del loro legame di dipendenza economica ed energetica. Mentre Putin chiude i rubinetti del gas russo, le sanzioni occidentali stanno colpendo duramente l’economia della sua nazione con conseguenze catastrofiche. Come affermato da Jeff D. Colgan , professore associato di scienze politiche alla Brown University, stiamo andando incontro ad un mondo bipolare dominato da Cina e Stati Uniti. Dopo il periodo di unipolarità americana che va dal post-guerra fredda alla grande recessione, l’ascesa cinese ha aperto il sipario del multipolarismo. Anche l’Unione Europea e la Russia ne facevano parte, ma ora le carte in tavola si stanno mischiando. Le due superpotenze (cinese e americana), protagoniste del nuovo ordine mondiale, stanno accrescendo sempre di più la loro competitività mentre la nostra Europa cerca di venire a capo della crisi energetica.
IL PUNTO DI VISTA MILITARE
Proprio parlando di armi il discorso entra nel vivo. Il 24 febbraio 2022 i russi entrano in Ucraina. Obiettivo: liberare dal “giogo” di Kiev le regioni separatiste di Donetsk e Lugansk, destituire il governo del presidente Volodymyr Zelenskyj e riportare l’ex-repubblica sovietica alla neutralità (se non addirittura nella sfera d’influenza russa). Tempo stimato: circa due settimane.
Le forze in campo
Il Cremlino punta su un dispositivo militare molto grande. Le forze armate contano complessivamente circa un milione di uomini. Sul campo ne sono schierati circa 170 mila, divisi su quattro direttrici d’attacco: due verso Kiev, una mirata all’occupazione-liberazione del Donbass e l’ultima, dalla Crimea, in supporto alle truppe provenienti da ovest. Dal canto loro, i difensori ucraini partono in forte svantaggio. Con un totale di 270 mila militari, di cui appena 40 mila mobilitati e pronti all’impiego immediato, le speranze di risposta efficace erano poche. Anche e soprattutto considerando la disparità negli armamenti.
Se Putin disponeva di migliaia di carri armati T-72 e T-80 aggiornati e di centinaia di moderni T-90, le forze ucraine schieravano solo 720 vetusti T-64 modernizzati, 450 T-72 e appena un centinaio di più recenti T-80. Tralasciamo altri generi di veicoli: la situazione era quasi la stessa. Se analizziamo le forze aeree, spina dorsale della guerra moderna, il confronto è impietoso. Kiev contava su un centinaio di cacciabombardieri, la maggioranza dei quali erano MiG-29, fabbricati dall’Unione Sovietica a partire dagli anni ’70. Dal canto suo, la Russia poteva schierare oltre 600 velivoli da combattimento, tra cui moderni Su-30 e Su-35. Mosca, poi, disponeva anche di 465 aerei da attacco al suolo e poco più di cento bombardieri a lungo raggio. Non parliamo poi delle forze navali: poche unità, per lo più pattugliatori, dovevano fronteggiare la flotta del Mar Nero di Mosca, composta da decine di unità come fregate e sottomarini, anche di ultima generazione.
Le difficoltà di Mosca
La Russia, insomma, contava di schiacciare le armate ucraine in pochi giorni. E allora perché, a quasi un anno dall’inizio delle ostilità, lo scontro non è ancora terminato e, anzi, le truppe russe hanno dovuto abbandonare il fronte nord e si sono gradualmente ritirate anche a sud?
Sarebbe sbagliato ricondurre tutto a un’unica ragione: c’entra la volontà ucraina di resistere all’invasione; c’entrano l’appoggio internazionale a Kiev e gli aiuti militari; c’entra indubbiamente il morale delle truppe russe, calato con il protrarsi del conflitto. Se vogliamo concentrarci solo sul lato militare, però, una causa dell’insuccesso russo può essere individuata in un grosso errore di valutazione strategica. La lista di armamenti che vi abbiamo presentato non era fine a sé stessa, bensì il preambolo necessario per questa affermazione: Mosca pensa ancora a una guerra che non c’è più, con una visione che privilegia la quantità alla qualità. È una concezione di diretta derivazione sovietica: tante armi e tanti uomini trionfano sempre.
Oggi non è più così. Soprattutto se si combatte, come in Ucraina, casa per casa, strada per strada, paese per paese. In un mondo in cui le guerre sono sempre meno grandi scontri campali e sempre più serie di piccole operazioni CQB (Close Quarter Combat), schierare una colonna di carri armati diventa una debolezza. Perché, mentre tra gli edifici si combatte uomo contro uomo, nel cielo ci sono aerei e droni. E cosa c’è di più allettante di una fila di goffi veicoli incapaci di difendersi da attacchi dall’alto? Dunque i russi hanno attaccato in massa sul terreno. Senza prima annientare la difesa aerea ucraina, che ha continuato a operare contro gli attaccanti. Senza considerare che Kiev poteva acquistare a basso costo droni kamikaze efficacissimi contro bersagli terrestri. Privilegiando la quantità alla qualità, non schierando i modernissimi carri T-14 e i cacciabombardieri stealth Su-57. Questo, con l’affluire continuo degli aiuti militari occidentali, ha garantito agli ucraini la capacità di resistere e rispondere efficacemente. Pochi sistemi, moderni ed efficaci, hanno avuto la meglio su molti materiali, vecchi e superati.
Il conflitto in Ucraina ha monopolizzato i media italiani ed esteri per quasi un anno. Ma il tema della guerra non si esaurisce qui. Anzi, più ci si allontana più emergono situazioni di cui si parla meno, ma la cui drammaticità è molto simile se non peggiore. Nei prossimi appuntamenti con “Through the Barricades” le scopriremo insieme, per approfondire i risvolti geopolitici e militari e illuminare insieme realtà avvolte dalle fitte nebbie della guerra.