La rabbia per la politica “zero covid” imposta da Pechino sta esplodendo in tutta la Cina. Dopo quasi tre anni di pandemia, migliaia di persone stanno scendendo in piazza per manifestare il proprio dissenso contro la linea dura seguita dal presidente Xi Jinping. Da Shanghai a Urumqi, le proteste contro le restrizioni sanitarie non sembrano volersi fermare.
Malcontento pubblico
In un Paese in cui il dissenso è sistematicamente represso, scene come quelle viste in questi giorni acquisiscono un significato ancora maggiore. Gli slogan a favore della libertà e contro il Partito comunista, uniti ai cori contro la leadership di Xi, dimostrano come la popolazione cinese non riesca più a sopportare le severe misure di isolamento imposte. Con il recente aumento dei casi, infatti, il governo ha aumentato le restrizioni, costringendo milioni di persone a nuovi lockdown e isolamenti sanitari. Sacrifici e privazioni che hanno spinto i cittadini a dire basta a questa linea. «Xi dimettiti», «No al confino, vogliamo la libertà» e altre frasi di questo tipo sono state pronunciate nel weekend scorso, da Pechino a Shanghai. Nella capitale, in particolare, presso l’Università Tsinghua centinaia di studenti hanno manifestato dopo l’affissione di alcuni fogli bianchi, diventati simbolo contro la censura.
L’incendio a Urumqi
A far scoppiare le proteste è stato l’incendio di giovedì 24 novembre a Urumqi, nello Xinjiang, costato la vita a dieci persone. Per le rigide restrizioni anti covid, infatti, le uscite di sicurezza del palazzo erano bloccate per impedire alle persone di fuggire all’isolamento sanitario che dura da cento giorni. A rallentare le operazioni di soccorso anche le barriere presenti in strada, che hanno ostacolato l’intervento dei vigli del fuoco.
La posizione governativa
Mentre sui social circolano migliaia di video relativi alle proteste in tutto il Paese, la stampa cinese non ha riportato alcuna notizia su ciò che sta succedendo. Ma se le principali testate nazionali censurano quanto accaduto, la polizia è intervenuta per contrastare i manifestanti, arrestando tra l’altro un corrispondente della BBC che stava documentando il tutto. Nonostante questo, il governo ha scelto per ora di evitare una repressione massiccia, in attesa di capire come evolverà la questione.