Molotov contro la storia. Si alza il livello delle proteste che stanno infiammando da due mesi l’Iran. L’ultimo obiettivo è stata la casa natale dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, guida della rivoluzione che nel 1979 trasformò il Paese in una Repubblica islamica. Nella notte di giovedì 17 novembre, a Khomeyn, nell’Iran centrale, poco più di 300 km a sud di Teheran, una commemorazione delle persone uccise dalle forze dell’ordine negli ultimi giorni di proteste si è trasformata in un attacco diretto ad uno dei simboli del regime che governa il Paese ispirandosi ai valori dell’Islam. La casa di Khomeini, trasformata in museo da circa 30 anni, è stata incendiata dalle molotov dei manifestanti, che hanno documentato il tutto condividendo moltissimi video sui social network.
#BREAKING The house of Rouhollah Khomeini, the founder of the Islamic Republic and the leader of the 1979 Islamic Revolution, has been torched by protesters in the city of Khomeyn, according to videos obtained by @IranIntl. pic.twitter.com/j1sAVi0j8X
— Iran International English (@IranIntl_En) November 17, 2022
The Khomeini house museum, which was originally the house of the father of the Islamic Republic’s founder, was set on fire on Thursday evening. pic.twitter.com/eRGhYhqn6b
— Iran International English (@IranIntl_En) November 18, 2022
L’IMPORTANZA DI ESSERE KHOMEINI
L’ayatollah Ruhollah Khomeini è una figura centrale della storia recente dell’Iran. È stata la guida della rivoluzione che nel 1979 trasformò il Paese da monarchia in una Repubblica islamica. Lo scià, corrispettivo del titolo di re nei paesi di lingua persiana, Mohammad Reza Pahlavi fu spinto ad abbandonare il Paese a seguito di scioperi e manifestazioni popolari, a cui seguì anche la disgregazione dell’esercito. Durante il suo regno, dal 1941 al 1979, Pahlavi, sostenuto dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti, introdusse riforme volte a modernizzare e occidentalizzare il Paese. Queste però non solo non ottennero i risultati sperati, ma contribuirono anche a rafforzare l’opposizione interna allo scià e il malcontento popolare.
Dopo la rivoluzione, l’Iran si riavvicinò alle tradizioni e ai costumi mussulmani sciiti. La forma di governo della repubblica islamica vede infatti affiancarsi al potere politico, a cui sono attribuite funzioni prettamente amministrative, il potere religioso. Di conseguenza, i precetti della religione danno forma alla società e valgono come leggi dello Stato.
DUE MESI DI PROTESTE: DALLA MORTE DI MAHSA AMINI AI BACI IN PUBBLICO
A scatenare l’ondata di proteste in Iran è stata la morte di Mahsa Amini il 16 settembre. Arrestata per aver indossato male il velo, la 22enne non è uscita più dal carcere. Si pensa che sia stata uccisa dalla violenza delle guardie mentre era in prigione. La versione ufficiale del governo iraniano attribuisce però il decesso a una malattia.
Da quel momento, l’Iran non ha conosciuto pace. Manifestazioni in strada e proteste contro le autorità politiche e religiose si sono susseguite continuamente. Dai media internazionali sono arrivate condanne per la morte di Masha, per le violente repressioni attuate del governo (si contano finora almeno 342 vittime e 14mila arresti) e per il modo in cui le donne sono trattate e considerate nella società iraniana.
Le proteste hanno man mano assunto le forme più disparate. Alle numerose manifestazioni con cartelli, foto e bandiere, sono seguiti gesti più eclatanti: le donne iraniane che si tolgono il velo in segno di protesta durante il funerale di Mahsa, che si tagliano i capelli in pubblico, l’aperto sostegno di esponenti del mondo dello sport. Fino ad arrivare al bacio in pubblico, proibito nella Repubblica islamica perché considerato “un atto contro la morale”.