Carne e pasta vanno in guerra (1915-1918)

L’esercito Italiano nella prima guerra mondiale (1915-1918) era composto da 800.000 uomini per 40 divisioni. Contro gli austriaci furono sferrate dal nostro esercito ben undici offensive prima di riuscire a sgretolare sia militarmente che politicamente l’impero austro-ungarico. A livello nutrizionale l’esercito italiano venne nutrito in applicazione alla tabella alimentare di guerra per il regio esercito (codificata nel 1908). Si trattava di 3.373 calorie, contro le 3.394 previste per i soldati in tempo di pace. Anche se la differenza algebrica è irrisoria in realtà nasconde una notevole differenza nelle razioni. In tempo di pace era previsto un apporto di proteine (carne) pari a 150-200 g (inclusi gli ossi) pro capite in più al giorno, con una equivalente riduzione dei carboidrati (pasta e riso). Lo zucchero e il vino dal periodo di pace a quello di guerra passavano rispettivamente da 5 a 86 g e da 20 a 250 g (come dire più energia e più ubriachi!).

Razione di guerra per SOLDATI DI TERRA parte fissa:

750 g di pane

375 g di carne (con osso)

61 g di pasta (per 3 giorni alla settimana)

88 g di riso (per 3-4 giorni alla settimana)

15 g di lardo

parte variabile:

20 g di sale

contorni vari (verdure, legumi, patate)

formaggi e frutta (in quantitativi variabili)

 

La giornata alimentare tipo del soldato era scandita nel seguente modo:

Colazione: tazza di caffè zuccherato

Pranzo: (ore 10) brodo con pezzi di pane e carne bollita

Spuntino: 750 g di pane da consumare tra pranzo e cena

Pasto serale: (ore 17) riso e pasta conditi con lardo

Durante la guerra veniva fatto rispettare il venerdì di magro così il formaggio (100 g) sostituiva per un giorno la carne e il pasto era completato da pasta o riso. Una stima accurata ha permesso di calcolare che una razione alimentare (rancio) costava a quei tempi all’esercito qualcosa come 8 centesimi al giorno!

Le truppe in trincea beneficiavano di razioni, perlopiù distribuite di notte, più abbondanti ma non certo proteiche: pasta e riso (circa 150 g), di patate (350 g (per 3 giorni alla settimana), legumi (250 g per 4 giorni alla settimana). I soldati arruolati in marina avevano un menù diverso. La paura dello scorbuto obbligava ad istituire due regimi alimentari distinti:

A TERRA (menù da 3.000 calorie)

Alla tazza di brodo erano aggiunti (ma solo in due giorni alla settimana) riso e fagioli, per altri tre giorni pasta con ragù di carne e il minestrone nei giorni restanti. In più erano dovuti al soldato 33 cl di vino, 15 g di caffè e 20 g di zucchero.

A BORDO (menù da 3.215 calorie)

Vi era una maggior frequenza nella distribuzione della carne (fino a 4 sere alla settimana) e il vino veniva addirittura raddoppiato. Il pesce, costituito sempre da tonno o baccalà, faceva la sua comparsa sulle tavole due sole volte alla settimana sia che il soldato fosse a terra o su di una nave.

Anche il pane a terra o a bordo era pari a 700 g ma era possibile sostituirlo con 500 g di gallette. Al comandante veniva demandato il compito di valutare lo stato di nutrizione del suo equipaggio con la possibilità di distribuire razioni extra tabella. Ma nel 1915 a seguito della pubblicazione dello studio “L’Alimentazione delle truppe di terra italiane” negli Annali di medicina navale e coloniale, venne stabilito per motivi “fisiologici e igienici” che la razione proteica dei soldati era eccessiva e si doveva subito intervenire per diminuirla. Fortunatamente l’organizzazione rubò parecchio tempo e solo sul finire del 1917 venne attuata nella sua follia distruttiva. la razione di carne passò dai 375 g (con osso) ai 200 g (con osso) ripartita nel modo seguente: 2 volte a settimana carne bovina, 1 volta alla settimana tra suina, ovina o pesce (rigorosamente baccalà). Negli altri 4 giorni si alternavano minestroni di verdura, legumi, patate e riso o pasta con 40 g di formaggio.

La pasta venne portata da 60 g 3 volte alla settimana a ben 200 g per 4 volte la settimana con una dose di complemento di formaggio (40 g). le truppe non operative si videro ridurre il pane da 750 g a soli 600 g al giorno! Vennero introdotte migliorie anche per il gusto del rancio, l’olio di oliva in sostituzione, parziale, del lardo, il pomodoro, fresco o come estratto, per insaporire gli alimenti, e vennero stabiliti precisi quantitativi anche per l’introduzione delle spezie: 0,5 g di cipolla e 10 g di aglio per ogni soldato.

In questo modo anche il cibo in guerra si piegò alle concezioni “moderne” in tema di fisiologia e igiene alimentare di inizio Novecento (purtroppo non dissimili di molto dalle attuali) dove l’importanza delle proteine per migliorare e potenziare il lavoro muscolare venne sostituita con l’idea dell’energia muscolare basata su di un massiccio utilizzo di carboidrati e grassi (la famosa dieta mediterranea!). Ma dietro ad una scelta apparentemente legata alla salute e al benessere dei soldati si celava, come avviene oggi nel grande business dei carboidrati, un preciso tornaconto economico. Il passaggio ad un regime low protein determinò nell’economia di guerra un risparmio di 800.000 bovini e ben 100.000 tonnellate di prodotti granari. In chiusura una domanda è doverosa: il nuovo regime alimentare serviva per fare stare meglio i soldati o le casse dello stato?

a cura di Marta Zanichelli

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