C’è una parola tabù che grava sul mondo della ristorazione, soprattutto su quella “alta”. Si chiama “surgelato” e raggruppa una famiglia di prodotti molto estesa che va dalla carne al pesce, dalla verdura al dessert.
In Italia, più che in altri Paesi d’Europa, al surgelato viene associato in automatico il significato di “qualitativamente inferiore” rispetto al fresco, un pregiudizio che Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi e Fiera Milano hanno rimarcato a Milano, all’interno del convegno “Il surgelato nei consumi fuori casa”, organizzato nella sede meneghina dell’Unione di Commercio.
Intanto, c’è un problema di informazione: il processo di surgelamento è spesso confuso con quello di congelamento perché il primo, applicando al prodotto tecniche di raffreddamento a temperature di solito pari o inferiori ai 18°C, mantiene intatte le proprietà organolettiche e di freschezza delle derrate alimentari, rallentandone il deterioramento.
Un processo ben più rapido di quello che avviene col congelamento, più lento e per questo causa della perdita di rigidità dei tessuti e quindi dei valori nutrienti di un prodotto quand’è il momento di decongelare.
La prima crociata da combattere è allora quella di comunicare bene il valore e i vantaggi del prodotto surgelato, percepito dai ristoratori come sicuro (grazie al controllo che viene fatto lungo tutta la filiera), di qualità, convenienza e anche fondamentale nella gestione delle emergenze.
a cura di Marta Zanichelli