La scarsità di acqua, causata prevalentemente dal surriscaldamento globale, rende questa risorsa sempre più strategica nella geopolitica mondiale. Circa la metà della popolazione globale vive in regioni che subiscono la carenza idrica. Le riserve si stanno riducendo dappertutto e diventa sempre più probabile che questa penuria causi conflitti.
La crisi climatica sta letteralmente prosciugando zone che già da tempo lottano contro la siccità. La mancanza d’acqua colpisce circa il 40% della popolazione mondiale e, secondo le previsioni delle Nazioni Unite e della Banca mondiale, entro il 2030 circa 700 milioni di persone saranno costrette a sfollare a causa dell’assenza di piogge. Nel corso del ventesimo secolo, l’uso globale dell’acqua è cresciuto più del doppio rispetto al tasso di aumento della popolazione. Questo sta portando molte città a introdurre misure di razionamento dell’acqua. Dal 2012, quasi ogni anno, le crisi idriche sono state classificate tra le prime cinque della lista Global Risks by Impact del World Economic Forum. Per fare un esempio, la grave siccità del 2017 ha costretto 20 milioni di persone tra Africa e Medio Oriente a lasciare le proprie case a causa della conseguente carenza di cibo e dei conflitti scoppiati.
In queste condizioni, infatti, si innescano facilmente lotte tra gruppi armati oppure dispute tra i Paesi confinanti per lo sfruttamento delle risorse. Dalla fine degli anni ‘80 il Pacific Institute stila la Water Conflict Chronology, un registro che traccia gli eventi di cronaca in cui l’acqua sta al centro della disputa. Secondo questo database, negli ultimi vent’anni le violenze sono aumentate rapidamente. Solo nel periodo che va da gennaio 2020 a marzo 2022, ci sono stati almeno 202 conflitti documentati di questo tipo. Tra questi si contano per esempio gli scontri violenti per l’irrigazione dei campi e l’allevamento nell’Africa sub-sahariana. Nella regione semi-arida del Sahel, pastori e agricoltori denunciano regolarmente gli scontri violenti che avvengono per l’utilizzo delle scorte, necessarie agli animali e alle colture.
In Italia al momento non si registrano conflitti di questa portata, ma già si moltiplicano i casi di furti dell’acqua. Succede, per esempio, in Piemonte dove, da quando le riserve per uso irriguo sono state contingentate, si sono aperti diversi contenziosi che coinvolgono i coltivatori di riso del vercellese e del novarese e le industrie della zona.
Un caso emblematico di come il controllo dei fiumi e dei bacini d’acqua possa alimentare le tensioni tra Paesi confinanti è quello della diga costruita sul Nilo dall’Etiopia. Da quando a febbraio è stata inaugurata, l’Egitto e il Sudan lamentano la sottrazione di preziose risorse idriche. Addis Abeba la ritiene essenziale per la propria elettrificazione e lo sviluppo economico, ma il Cairo e Khartoum sostengono che un progetto come la diga non potesse essere realizzato senza il loro consenso, a causa di due accordi internazionali, firmati da Sudan e Egitto nel 1929 e nel 1959, che danno a quest’ultimo potere di veto sulla costruzione di infrastrutture lungo il corso del Nilo e stabiliscono le percentuali di acqua che toccano a ciascun Paese. La probabilità di una guerra tra i tre Stati non è affatto remota. Nel maggio del 2021, Egitto e Sudan hanno avviato una serie di esercitazioni militari congiunte che hanno esplicitamente battezzato “Guardiani del Nilo”.
Oltre a essere la causa scatenante di un conflitto, l’acqua può essere usata anche come arma per piegare le popolazioni e costringere i nemici alla resa. Lo si vede bene nella guerra scoppiata in Ucraina, dove le forze russe hanno distrutto diverse infrastrutture essenziali, compresa una diga costruita da Kiev nella regione di Kherson nel 2014 per bloccare alla Crimea l’acqua dal fiume Dnepr. La riserva idrica può diventare anche un’arma di difesa, come quando gli ucraini hanno allagato i campi per rallentare l’avanzata russa verso Kiev.
A volte le risorse e le infrastrutture possono diventare vittime di un attacco anche se non sono al centro di una strategia. È successo di recente a dei serbatoi d’acqua in Yemen, colpiti durante alcuni raid aerei.
La maggior parte dei conflitti legati all’acqua si concentra proprio nei Paesi che, come lo Yemen, sono i più colpiti da ondate di calore, siccità e altre ricadute della crisi climatica: Siria, Iran, Iraq, Pakistan e India. Si tratta di una coincidenza di cui si dovrà tener conto nei prossimi anni se, come ha previsto il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, la scarsità idrica diventerà un problema per 2/3 degli abitanti del pianeta.
La situazione dell’Iraq può essere presa da esempio, dato che la crisi idrica del Paese è il risultato di più fattori. Negli ultimi 50 anni le sue risorse idriche sono diminuite del 40%, ma la causa non è solo il cambiamento climatico. Spesso, infatti, i Paesi che hanno più scarsità di piogge sono anche quelli che hanno meno infrastrutture per gestire in modo efficiente le loro scorte. Nel caso dell’Iraq, a far degenerare la situazione è stato l’intervento della Turchia, che nell’estate del 2019, durante un’ondata di calore di 50 gradi, ha deciso di riempire la diga di Ilisu, costruita su uno dei primi tratti del Tigri. Il flusso del fiume a valle è stato quasi dimezzato, andando ad aggravare la scarsità idrica non solo in Iraq, ma anche in alcune zone di Siria e Iran. Lo sbarramento al confine turco, che fa avanzare il mare lungo il tratto del fiume, sommato allo scarico di acque reflue, ha causato nello stesso periodo un’emergenza sanitaria. Come ha documentato Human Rights Watch, centinaia di persone sono finite negli ospedali della città irachena Bassora per eruzioni cutanee, dolori addominali, vomito, diarrea e persino colera. Secondo le immagini satellitari, poi, la regione in cui si trova il bacino idrico del Tigri-Eufrate sta perdendo le acque sotterranee più velocemente che in qualsiasi altra parte del mondo.
Basandosi su dati come la densità di popolazione, la disponibilità idrica, le condizioni climatiche e l’equilibrio politico territoriale, diverse ricerche hanno calcolato un’alta probabilità di insorgenza di guerre per l’acqua, in varie zone del pianeta. La preoccupazione legata da una parte alla crescita demografica e dall’altra all’aumento delle temperature, previsti per i prossimi decenni, spinge i governi a cercare nuove soluzioni. Per esempio la tecnologia che permette di trasformare l’acqua del mare in acqua potabile è ormai consolidata e diffusa in diverse parti del mondo ma, tra costi di implementazione, consumi energetici e la produzione di salamoia tossica, rimane qualche punto interrogativo. Ogni litro prodotto, infatti, genera un litro e mezzo di acqua ipersalata, che contiene sostanze chimiche tossiche. Questa salamoia viene reimmessa negli oceani, mettendo a rischio gli ecosistemi marini.
Le soluzioni più efficaci, al momento, sembrano invece quelle legate al risparmio delle risorse. Un luogo emblematico, che da tempo ha preso provvedimenti al riguardo, è Las Vegas, una città di 360 chilometri quadrati in mezzo al deserto. La siccità sta prosciugando il fiume Colorado, da cui arriva il 90% del fabbisogno di Las Vegas. Una legge prevede addirittura la rimozione entro il 2027 di tutti i prati pubblici decorativi: quelli nelle rotonde, ai margini delle strade, davanti agli uffici o ai condomini. Per quanto Las Vegas si possa impegnare nel risparmio, la riduzione dell’acqua del Colorado potrebbe innescare gravi conflitti come fu in origine tra colonizzatori e nativi, dato che il fiume attraversa sette stati americani e 29 nazioni indiane, prima di raggiungere il Messico e sfociare in mare. Ancora oggi, per esempio, un terzo dei 350 mila residenti della Riserva Indiana Navajo non ha accesso all’acqua corrente.
In conclusione, abbiamo visto che l’uso, l’impatto o l’effetto che l’acqua ha avuto all’interno dei conflitti è testimoniato da diversi eventi in tutto il mondo e che le previsioni di crescita demografica e aumento della siccità, unite alla cattiva gestione delle risorse e al loro inquinamento, non fanno che accrescere il clima di tensione già presente in diversi luoghi.
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