Tutto il mondo parla di Netflix, di nuovo. Questa volta, non per l’uscita del finale di stagione de La Casa di Carta o dei nuovi episodi di Stranger Things, ma per il crollo degli abbonati e della successiva crisi finanziaria.
L’azienda fondata nel 1997 da Reed Hasting e Marc Randolph è esplosa in questi venticinque anni. Grande Successo, produzioni importanti, miliardi di dollari di ricavi. Un’idea rivoluzionaria che ha cambiato le regole della tv tradizionale.
Partita con il delivery di DVD, la multinazionale californiana ha saputo adattarsi alle esigenze del mercato e ai cambiamenti. Così, è diventata presto la più grande piattaforma di streaming al mondo. Netflix ha cavalcato l’onda del successo, ma nel 2022 sembra che qualcosa sia cambiato. E non solo a livello finanziario.
La fine della pandemia, che costringeva tutti a stare in casa, il divieto di utilizzo agli utenti in Russia dopo la guerra, la difficoltà a raggiungere nuovi abbonati e il sempre maggiore utilizzo dei nuovi social: TikTok e Twitch su tutti, che favoriscono il coinvolgimento e catturano l’attenzione degli utenti. A differenza di Netflix, troppo statica nel reagire alle nuove esigenze di mercato.
Le previsioni annunciano una perdita di 2 milioni di utenti entro la fine dell’anno.
Negli Stati Uniti, l’aumento del prezzo degli abbonamenti ha causato malumori.
E l’infedeltà verso l’azienda è cresciuta a dismisura. Tutto questo, probabilmente, costringerà la piattaforma a ripensare al suo modo di produrre contenuti: smettere di puntare sulla quantità per trovare una strategia che valorizzi la qualità. Anche prendendo in prestito le modalità della televisione tradizionale, molto più capace di creare un discorso collettivo e valori condivisi.
La bolla finanziaria è definitivamente scoppiata?
Se dal 2012 Netflix è cresciuta in borsa del 1300%, nelle ultime settimane il calo annunciato di 200mila iscritti nel primo trimestre dell’anno ha causato un crollo vertiginoso in borsa: «La crescita economica dell’azienda si è arrestata già da tempo». Paolo Tacconi, Board Manager di Tinext, azienda leader nel digital consulting per le imprese, spiega i motivi della caduta delle azioni: «Negli ultimi cinque anni c’è stato un aumento del 50%, ma già tre anni fa è iniziata la discesa. Altre aziende tech, Apple e Microsoft per esempio, in cinque anni hanno chiuso con un aumento di oltre il 300%».
Ma negli Stati Uniti è stato tutt’altro che un crollo annunciato. «Una sorta di inganno ottico» – continua Tacconi – «Netflix ha annunciato una crescita che poi si è rivelata una decrescita. Oltre al valore assoluto delle azioni, è l’aspettativa e il controllo che hai sul tuo business a incidere». I motivi del crollo finanziario sono molteplici: il mondo è ripartito dopo il lungo periodo a casa e la concorrenza, nel settore streaming, è aumentata con Amazon Prime Video, Disney+ e altri.
«Gli analisti si aspettavano delle risposte dall’azienda e non le hanno trovate. Sono calati gli abbonati, fonte di vita della company. E di conseguenza, senza abbonati è crollato tutto. Perché il modello di business è monocellulare, sostenuto solo dalle quote di iscrizione e il brand è il loro servizio».
Riuscirà Netflix a risollevarsi?
Per scongiurare la crisi, Netflix proverà a introdurre la pubblicità e a interrompere la condivisione delle password: ad oggi almeno 1 utente su 4 passa la propria chiave d’accesso ad altri. In più, è molto facile annullare la propria iscrizione da Netflix. Paradossalmente, una via d’uscita più semplice evita frizioni a chi ha dei dubbi sull’utilizzo. Il Financial Times ha chiesto agli utenti Netflix cosa pensano del servizio.
Sono emerse opinioni contrastanti: c’è chi non trova più interessante l’offerta dei contenuti, chi giudica la programmazione editoriale troppo a portata di mano. «Ad oggi – continua Tacconi – c’è qualcosa nell’azienda che non torna agli azionisti, è un problema di governance. Il mercato già sapeva che le azioni fossero in calo, tutto il NASDAQ vive una decrescita.
L’obiettivo di ogni company è aumentare l’Arpu (Average Revenue Per User), cioè i ricavi medi mensili per ogni utente.
Facciamo un esempio pratico: l’abbonamento ad Amazon Prime consente l’accesso alla piattaforma video, senza costi aggiuntivi. E da lì ogni utente aumenta il proprio Arpu acquistando prodotti diversi, con Netflix è impossibile».
Allora, chi è il vero concorrente di Netflix?
Senza dubbio, i social. Soprattutto le nuove piattaforme, TikTok e Twitch. Se una persona trascorre tre ore su TikTok, non guarda un film o una serie tv. Inoltre, il social cinese non compra nulla dalle altre aziende e ha un ritorno solamente dagli utenti, soprattutto generando revenue dalla pubblicità. Quindi, non è tanto la concorrenza interna ma proprio il tempo di fruizione che manca. «A mio parere, – conclude Paolo Tacconi – Netflix dovrebbe adottare delle strategie che coinvolgano di più gli utenti sui social. Hanno un modello di business unidimensionale: differente da TikTok che è over production».
The content is (NOT) the king
L’emorragia di abbonati di Netflix «significa che bisogna ripensare al modello produttivo e andare verso una riduzione della quantità di contenuti, che fin qui è stata parte integrante del suo modello».
Luca Barra, professore di media e tv all’Università di Bologna, ha pochi dubbi: per la piattaforma di streaming è arrivato il momento di cambiare strategia e fare investimenti più oculati. Oggi Netflix ha livelli di produzione da capogiro: in media produce circa 150 nuove serie all’anno
Da una parte questo content overload produce effetti positivi, perché aumenta la diversità degli sguardi e delle voci autoriali mentre ridimensiona lo strapotere dei grandi dirigenti televisivi. Dall’altra, però, crea un paradosso: tutti i nuovi contenuti prodotti in modo forsennato per Barra «si scontrano con la quantità finita del nostro tempo e finiscono in calderoni che non riescono a incontrare il grande pubblico».
Il modello Netflix, basato sulla comodità di avere disponibili tutti gli episodi insieme, ha finito per svalorizzare la sua risorsa più preziosa: il contenuto. «Nonostante l’enfasi del marketing sul messaggio “content is king” – prosegue Barra – la verità è che quando si butta il contenuto nel mucchio, diventa difficile che questo abbia la capacità di attirare l’attenzione». Il risultato, secondo Barra, è che «tutto brucia in fretta e i contenuti che spiccano sono comunque pochi, non durano e l’hype si esaurisce in fretta».
La creazione del confronto
Il pubblico, inoltre, sta vivendo una fase in cui la voglia di far parte di un discorso collettivo prevale fortemente sul desiderio di avere tutto e subito. Proprio la “sincronizzazione sociale” è un fenomeno che la televisione tradizionale – con i suoi vincoli del palinsesto e dell’appuntamento fisso – riesce ancora a realizzare in modo efficace. Questo perché essa si rivolge a un pubblico ampio, trasversale, che guarda la stessa cosa. In una parola: crea un confronto. Tanto che alcune piattaforme concorrenti, come Amazon Prime Video e Disney+, hanno deciso di sperimentare con la tradizione, rilasciando gli episodi di alcune serie a intervalli regolari.
«Producendo un episodio a settimana per alcune serie, Amazon Prime Video ricorre a un vecchio modello televisivo che valorizza il prodotto», sostiene Barra. Una modalità che, basandosi sui limiti, aiuta le serie ad affinare il loro potenziale espressivo: «la pubblicità rappresenta un vincolo di cui gli sceneggiatori devono tenere conto a vantaggio della creatività, che invece quando è troppo libera risulta meno interessante».
Il ruolo dei colossi concorrenti
La concorrenza di colossi come Disney+ e Amazon Prime Video, che puntano su strategie per valorizzare i contenuti e possono contare su una grande solidità finanziaria, ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale nell’arrestare la corsa di Netflix verso una crescita costante di abbonati.
Netflix ha introdotto un modello di streaming che ha cambiato totalmente le regole del gioco. Questo è assodato. È altrettanto vero, però, che adesso la piattaforma deve fare i conti con un mercato che è arrivato a una sua maturità.«Dopo la fase esplosiva in cui si rivoluziona tutto – conclude Barra – con la disruption, adesso le piattaforme di streaming devono fare i conti con il fatto che sono a tutti gli effetti una forma di televisione e che ne devono quindi rispettare le regole»
Insomma, oltre al numero di abbonati, anche la forza rivoluzionaria dello streaming ha avuto una battuta d’arresto.