«I miei parenti russi non credono a quello che sta succedendo a Buča. Li ho chiamati, ho mandato loro le foto dei cadaveri per strada, delle fosse comuni. Ma loro pensano che sia tutta un’invenzione di noi ucraini. Che quegli scatti siano falsi. Ed è forse questa, in mezzo a tanto dolore, la cosa che mi fa più male. Non essere creduta da mia zia e dai miei cugini. Vorrei dirgli: Io esisto, la mia città è distrutta e soffro». Iryna Yarmolenko, 30 anni, è fuggita da Buča con la madre e il figlio di 5 anni, poco prima che l’esercito russo iniziasse l’invasione del suo Paese, il 25 febbraio. Adesso è a Praga, in Repubblica Ceca e ha raccontato a Master X la fuga, gli sforzi per raccogliere aiuti umanitari per i suoi concittadini, rimasti nel Paese, ma soprattutto l’orrore nel vedere come l’esercito russo ha ridotto la sua città.
«Non riesco a darmi pace. Il mio ufficio è stato distrutto, ma anche il ponte dove guidavo per andare al lavoro e la casa dove vivevo e facevo feste e barbecue – ricorda Iryna – Esplodono gli edifici. I miei colleghi devono fare i conti con la mancanza di cibo, poca acqua e senza la possibilità di curare le ferite». Le immagini strazianti dell’assedio e i racconti degli amici sul posto però non l’hanno scoraggiata. Anzi sono state un incentivo a impegnarsi ancora di più per combattere gli orrori della guerra con la sua rete di assistenza ai profughi e il #NOWAR Hub di informazioni per chi lascia l’Ucraina. «Non capisco perché chi colpisce i grattacieli è considerato un terrorista, mentre Putin che uccide ogni giorno e distrugge le città è ancora presidente della Russia».
Buča
All’inizio le persone dovevano rifugiarsi «in seminterrati freddi ogni volta che si accendevano i segnali di allarme». Negli ultimi giorni la situazione però è nettamente peggiorata, come hanno mostrato le terribili immagini diffuse da cittadini e media internazionali: «Ci sono incendi, persone portate nei cortili e fatte inginocchiare a cui hanno sparato alla testa – le hanno raccontato gli amici rimasti a Buča– Alcune donne sono state stuprate dai soldati, mi hanno detto, e tanti sono feriti, ma non riescono a trovare cure e garze». Un’amica della madre aveva paura – racconta – e non voleva fuggire, ma gli eventi degli ultimi giorni l’hanno convinta.
Iryna commenta gli orrori nella sua città su Instagram
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Gli aiuti per i concittadini e chi non crede al suo dolore
La solidarietà internazionale è tanta. Iryna – già attivista per Bon’t worry NGO e membro del Consiglio dei Comuni e delle Regioni Europee – ha deciso di attivare la sua rete di connessioni internazionali per creare il #NOWAR Hub, una rete che raccoglie aiuti per i profughi ucraini. Al momento hanno aderito all’iniziativa 6 associazioni, Hubzine Italia Rethinking Climate, Center for Social Communication (CSC-Ukraine), ContaminAction University e Manager Senza Frontiere. Iryna sta così riuscendo a indirizzare in luoghi sicuri tanti dei suoi connazionali, fornendo informazioni su mezzi di trasporto e centri di accoglienza.
Gli aiuti umanitari del #NOWAR Hub in partenza per Lublin, in Polonia
Ricostruire l’Ucraina
«L’obiettivo dell’associazione è organizzare una ricostruzione sostenibile del nostro Paese. Città come Buča o Irpin, vicino a Kiev, nel cuore dell’Europa, dovranno essere ricostruite da zero. È un processo difficile ma non possiamo aspettare. In Ucraina le persone non hanno perso la speranza – conclude – Dobbiamo continuare a lavorare per loro».
La fuga
Il racconto di Iryna è molto simile a quello di tante altre persone che sono riuscite a sfuggire per un pelo all’invasione. La sveglia brusca dopo un forte rumore, le prime immagini condivise su Facebook dai colleghi del Consiglio cittadino di Buča e infine il messaggio da parte del suo capo: «La guerra è iniziata». A quel punto Iryna ha avuto poco tempo per pensare. Ha messo in un sacca un cambio di vestiti, i documenti ed è corsa a Irpin a prendere il figlio e la madre. Dopo una coda di 6 ore in auto e un’attesa snervante alla frontiera di Lublino – senza internet e senza notizie – sono finalmente riusciti ad entrare in Polonia: «Quando abbiamo passato il confine, ho iniziato a piangere».
I video del giorno della fuga
L’amore per il figlio e per la mamma l’hanno spronata a prendere in mano la situazione: «Non potrei immaginare che in un momento di tale difficoltà fossimo separati, perché sono la mia forza, il mio cuore e devono stare in un posto sicuro». Il sollievo però è stato breve. Dopo alcuni giorni di riposo – ospite da Martha, una dei membri del gruppo Facebook Host a Sister, di solito riservato agli scambi linguistici – è stata raggiunta dalle prime immagini dell’assedio: «L’Ucraina era cambiata per sempre – racconta – Io e la mia famiglia eravamo salvi, ma i miei colleghi, o altre donne e bambini no».
Iryna con gli studenti dell’Università di San Diego