L’amore per il teatro le è nato da bambina, mimando frutta e verdura a tavola con i parenti. Finito il liceo, però, Patrizia Falcone ha cambiato strada e si è iscritta a giurisprudenza. Si è laureata, ma la sua passione per la recitazione ha preso il sopravvento e si è riversata sui social. È diventata una creator e con Donato Corrado, collaboratore e regista, ha ideato Quello che le donne non dicono: 218mila follower su Instagram, 451mila su YouTube e 1,3 milioni su Tik Tok.
«Siamo nati come pagina Facebook nel 2016», racconta Patrizia, abruzzese di 28 anni trapiantata a Milano, «volevamo descrivere il genere femminile con ironia, e creare qualcosa in cui si rispecchiassero tutte le donne». Poi il progetto si è evoluto, «i contenuti sono diventati più profondi – spiega la creator -, perché sentivamo il bisogno di scardinare certi stereotipi sul mondo femminile». Così, negli anni, Quello che le donne non dicono si è spostato prima su Tik Tok, dopo su YouTube e infine su Instagram. Si è trasformato in un lavoro a tempo pieno, e ha concesso a Patrizia una seconda chance per coltivare il sogno della recitazione.
Come nascono le idee
Non è semplice raggiungere un numero elevato di follower su quattro diverse piattaforme. Dietro c’è un duro lavoro, ma bisogna anche trovare le idee giuste. «Lavoriamo tanto di fantasia – confessa Patrizia -, che è il bello di creare contenuti: ci divertiamo a immaginare una vita che non esiste». Di spunti, gliene offre tanti pure la realtà: «Sono abbastanza goffa e me ne capitano di ogni», sorride. Poi racconta che le idee le vengono quando meno se l’aspetta, o nei momenti più inopportuni. «Una volta ne ho avuta una in discoteca. L’ho segnata sul telefono, ma avevo bevuto qualche cocktail e ho scritto male alcune lettere», scherza.
Ci sono giorni, però, in cui l’ispirazione scarseggia. Allora Patrizia e Donato si siedono a un tavolo e scelgono un tema da affrontare: sono momenti di grande creatività, oltre che di scontro. «Battibecchiamo su ogni idea – ride la creator -, ed è fondamentale perché se vai troppo d’accordo non dai vita a niente di nuovo». È anche grazie ai disaccordi, infatti, se nel tempo hanno scovato dei filoni narrativi di successo: «Come 28 anni vs 18 anni, format che analizza i comportamenti delle donne a distanza di dieci anni. O la rubrica Ne vogliamo parlare, in cui affrontiamo temi più sociali come il bisogno di mostrarsi felici sui social», spiega Patrizia.
Dietro Quello che le donne non dicono, quindi, si cela qualcosa di profondo. «Cerchiamo di dar voce a tutte le donne: ognuna di noi è speciale, con tutte le sue imperfezioni», rivela la creator, che punta sull’ironia, per sdrammatizzare. Sa bene che scherzando si può anche riflettere e trovare una diversa chiave di lettura: «Ho sempre avuto i chili di troppo, come li definisce la società. Nel tempo però ho imparato a fregarmene. Tante persone invece non la vivono così, e un altro punto di vista può aiutarle a crescere».
Un video del format 28 anni vs 18 anni:
I guadagni degli youtuber
Milioni di persone vedono nei creator come Patrizia dei modelli di riferimento. Guardano spesso i loro video su YouTube, che secondo i dati raccolti nell’aprile 2021 da Semrush, è la piattaforma preferita dal 53% degli uomini e dal 42% delle donne della Generazione Z (i nati tra il 1996 e il 2010) per seguire gli influencer. YouTube, del resto, continua a crescere e nel 2021 ha registrato 1,86 miliardi di utenti attivi in tutto il mondo.
A spopolare sono i contenuti di moda e bellezza, come i tutorial di trucco o i consigli di abbigliamento. Li offrono i creator, che vengono ripagati con gli oltre 28 miliardi di dollari di entrate pubblicitarie del 2021. Ma da cosa dipende la monetizzazione su YouTube? Bisogna tener conto di una serie di fattori, come: la tipologia di contenuto, la durata e la lingua del video, il Cpm (il costo che un inserzionista paga per 1000 visualizzazioni del suo annuncio), il watch time, il tipo di pubblico, ecc.. Il meccanismo, quindi, è intricato e il guadagno varia da un creator all’altro. C’è però una tendenza di fondo: la disparità nei ricavi tra Stati Uniti e Italia.
Lo youtuber di fitness e alimentazione MattDoesFitness, ad esempio, ha dichiarato che per un video (Bodybuilders try the US Navy Seals Fitness Test without practice) da 23:56 minuti, con quasi 16 milioni di visualizzazioni, è stato pagato da YouTube 33mila dollari. Lo youtuber italiano xMurry, invece, per un video (Prova a non ridere: con l’elio!!) di 11:52 minuti, da circa 6 milioni di visualizzazioni, ha guadagnato 3mila euro. Una somma che non tiene conto della tassazione e della percentuale trattenuta dal network. Senza dimenticare le spese per i collaboratori, o quelle per una buona attrezzatura (luci, camera, programmi di montaggio ecc.), che costa sui 5mila euro e va rinnovata negli anni.
Ecco perché diventano fondamentali le sponsorizzazioni esterne. «Noi guadagniamo più dai contratti pubblicitari che dalle visualizzazioni», spiega Patrizia, che aggiunge: «Lavoriamo tanto con le aziende del beauty, anche se abbiamo collaborazioni trasversali. Però scegliamo solo i brand in linea con il nostro pubblico femminile e li inseriamo nella nostra idea creativa. I prodotti così diventano parte integrante del video».
L’organizzazione che c’è dietro
Per attirare le aziende non basta una strategia di marketing funzionale. Bisogna mostrare organizzazione: in altre parole, serve un piano editoriale ben congegnato. «A seconda della piattaforma cambia l’età delle donne a cui ci rivolgiamo, quindi variamo i format. È diversa anche l’attenzione: chi va su Facebook e YouTube è interessato a video lunghi, mentre su Instagram e Tik Tok la concentrazione è minore e devi accattivare lo spettatore», svela Patrizia, che chiarisce come queste regole si ripercuotano sul numero delle pubblicazioni: «Su Facebook e YouTube basta un video a settimana. Su Tik Tok e Instagram, invece, bisogna caricare contenuti quotidiani».
Ma postare con periodicità non è sufficiente per far crescere i follower. Qui entra in gioco l’engagement, cioè la capacità di coinvolgere gli utenti: «Serve un costante aggiornamento», spiega la creator, «con delle pillole social che ricordino di visitare il tuo profilo». Questa, però, è l’ordinaria amministrazione. Quanto alla straordinaria, Quello che le donne non dicono ha scelto di puntare su Instagram, il social che fornisce più strumenti di dialogo. «Abbiamo creato una rubrica, Dillo alla Pat, per permettere alle persone di scriverci quello che le angoscia nella vita: così, in maniera anonima, si liberano di un peso. Dopo se ne ride insieme e provo a risolvere i loro problemi: ma non posso fare miracoli», scherza Patrizia.
Sì, perché fare la creator non significa solo postare contenuti. C’è una grande responsabilità sociale: «Hai un pubblico, che si fida di te. Quindi devi stare sempre attenta a quello che dici, anche se è solo un’opinione. Poi non devi offendere o ingannare nessuno. Pertanto sì, sento la responsabilità».