Sono più di 3 milioni i «neet» in Italia, i giovani che non studiano né lavorano. Una percentuale pari al 25.1% del campione che prende in esame i ragazzi e le ragazze tra i 15 e i 34 anni.
Il report «Neet Working»
Il Piano di emersione e orientamento giovani inattivi – realizzato dal ministero per le Politiche giovanili in collaborazione con il ministero del Lavoro – ha rivelato che il nostro Paese è quarto per numero di «neet», ossia «Not in Employment, Education or Training». Alle spalle di Turchia, Montenegro e Macedonia.
In Italia un ragazzo su quattro non studia, non lavora e non è coinvolto in un percorso formativo. Un dato preoccupante che sottolinea il divario con la media europea. In particolare, nella fascia di età universitaria, i «neet» italiani sono il 70% in più dei principali Stati dell’Unione. Percentuale che evidenzia la gravità della situazione.
Di questi tre milioni, tuttavia, uno rientra tra i disoccupati, ovvero coloro che non hanno un lavoro ma lo stanno cercando attivamente.
Analizzando i numeri, si nota come la percentuale di «neet» sia più alta tra le donne e al Sud. A conferma di differenze socio-culturali non ancora superate. Nel dettaglio, la provincia con il tasso più alto è quella di Crotone (48%), mentre quella con il valore più basso è Pordenone (10,7%).
Ministra Dadone: «Piano per recuperare questo patrimonio»
«Abbiamo una strategia organica che favorisca l’emersione, l’attivazione e l’ingaggio dei neet». Queste le parole della ministra per le Politiche giovanili Fabiana Dadone. Attenta al problema e pronta a trovare soluzioni per risolverlo, per «recuperare un patrimonio di energie e risorse utili per la ripresa del Paese». Il Piano – formalizzato da un decreto congiunto Lavoro-Politiche giovanili – punta a ridurre il numero di «neet», intervenendo in tre macro fasi. Potenziando servizi come «Garanzia giovani», creando «Sportelli Giovani» nei Centri per l’impiego, sfruttando la piattaforma «GIOVANI2030» e seguendo il programma europeo gestito dall’Agenzia nazionale per i giovani.
Attualmente, infatti, il rischio più grande è che i «neet» rimangano inoccupati per troppo tempo, determinando una condizione critica perché difficilmente reversibile. Per questo, aiutare i giovani a orientare le scelte del proprio futuro appare il primo passo per un graduale percorso di crescita, che porti l’Italia ad allinearsi con i principali Stati europei.