L’inflazione nel 2022 non colpirà solo le tasche dei consumatori. Inciderà anche sulle loro abitudini alimentari, persino quelle più radicate. La pasta, infatti, subirà un pesante rincaro, fino al 38%, che potrebbe disincentivarne l’acquisto. E quale sostituto naturale, per il primo degli italiani, se non il riso?
La filiera del riso
Il problema è che l’inflazione sta mettendo in difficoltà pure le aziende che lavorano questo cereale e potrebbe spingerle ad alzare i prezzi. È il caso della Riso Scotti, leader nel settore con un fatturato di 240 milioni di euro nel 2020 e circa 500 dipendenti all’attivo, che sta subendo un sensibile aumento dei costi di produzione. A provocarli è innanzitutto il caro energia, con rialzi superiori al 100%.
«Si parla di un incremento da 100-150 mila euro delle bollette», chiarisce la responsabile acquisti Elisa Bacchio, che dopo introduce il secondo rincaro, quello delle materie prime. «Qui – spiega -, gli aumenti ipotizzati si aggirano intorno al 40-50% e colpiscono soprattutto le confezioni di carta». Un imballaggio diventato quasi introvabile, perché l’azienda non riesce a reperirlo sul mercato. Oppure lo riceve in ritardo a causa delle difficoltà nelle spedizioni marittime.
Ed è proprio dal trasporto delle merci che proviene l’ultima voce di maggior spesa. «Il costo dei viaggi via mare dal Pakistan è aumentato di dieci volte», rivela infatti il responsabile della logistica Luca Priori, «e anche per gli spostamenti su strada c’è stato un incremento graduale». Il prezzo del gasolio, d’altronde, è cresciuto parecchio mentre la scarsità di autisti ha fatto salire gli stipendi. Con una sola conseguenza possibile: «Chi distribuisce i nostri prodotti ci sta chiedendo degli aumenti a due cifre, che ridurranno ancora i margini dell’azienda», conclude Priori.
Il mercato del riso
Si giunge così al nocciolo della questione: imprese leader nel settore del riso, come la Riso Scotti, saranno disposte a sopportare l’incremento dei costi o lo scaricheranno sul consumatore finale? Secondo fonti interne all’azienda i prezzi dei prodotti non verranno ritoccati. Però non viene esclusa una loro – seppur minima – variazione, soprattutto se l’inflazione non si normalizzerà.
Cosa che non sembra possibile nell’immediato. Non solo perché il 2021 ha registrato una crescita record (+3,9%) dell’indice dei prezzi al consumo e ha lasciato in eredità al 2022 un’inflazione acquisita dell’1,8% (dati Istat). Ma anche perché il costo del riso, la materia prima principale della Riso Scotti, è in continuo aumento. Lo conferma un imprenditore agricolo di Magherno (PV), Edoardo Magnaghi, che nei suoi 200 ettari di terreno produce 600 tonnellate di riso l’anno.
«Da novembre il prezzo è salito in media di 100 euro alla tonnellata – spiega -. Due mesi fa girava sui 50 euro al quintale, adesso costa 60-65 euro». E non si fermerà qui. La prospettiva, infatti, è che cresca ancora, raggiungendo i 70-80 euro al quintale. «Così il riso tornerà a essere remunerativo», aggiunge Magnaghi, «o almeno permetterà agli imprenditori agricoli di bilanciare il caro energia e delle materie prime».
I prezzi aumentano anche al supermercato?
Quello che consentirà ai produttori di ridurre le spese, tuttavia, incrementerà ancor di più quelle delle imprese del settore della lavorazione del riso. In questo modo renderà sempre più difficile, per loro, non riversare parte dei costi sul consumatore finale. E se un aumento dei prezzi ci sarà, come appare probabile, la speranza è che sia minimo, come assicurato dalla Riso Scotti. Ma sotto questo punto di vista, la possibile crescita del 38% del costo della pasta, il più vicino parente del riso a tavola, non fa ben sperare.