Dall’inizio della pandemia, la Cina ha adottato un modello di gestione dei contagi a tolleranza zero. Con la chiusura delle frontiere, i lockdown, i test di massa e l’uso di tecnologie avanzate per tracciare i movimenti delle persone, il Paese è riuscito a ridurre drasticamente il propagarsi della pandemia. Tuttavia, nonostante il consenso generale, aumenta la preoccupazione circa la possibile invasione della privacy, messa in atto soprattutto ai danni delle persone critiche verso il governo di Xi Jinping.
La gestione cinese della pandemia
Il modello cinese per contrastare la pandemia da Covid-19 ha portato a risultati innegabili: la Cina ha registrato solo 3,3 morti per Covid-19 su un milione di abitanti rispetto agli Stati Uniti, dove in media sono decedute 2600 persone su un milione. I funzionari di Xi’an, capoluogo della provincia di Shaanxi, non hanno rilevato nuove infezioni nelle ultime settimane e a fine gennaio la città ha annunciato il termine del lockdown.
La strategia della Cina di Xi Jinping si basa fortemente sul supporto della tecnologia e sul lavoro dei funzionari di quartiere per rintracciare e isolare le persone potenzialmente esposte al virus. Al centro di tutto c’è un codice sanitario che può avere colori diversi – verde, giallo e rosso – e viene generato studiando la posizione, la cronologia degli spostamenti e i dati sanitari degli utenti. Solo il codice garantisce alle persone il diritto o meno di spostarsi o frequentare edifici e spazi pubblici.
Oltre alle app di gestione del codice sanitario, il governo utilizza anche telecamere di sorveglianza per verificare se le persone indossano le mascherine. Ricorre inoltre a sistemi di monitoraggio dei consumi elettrici per verificare se gli abitanti rispettano la quarantena. Addirittura si usano sensori sulle porte per avvisare i funzionari quando qualcuno le apre.
Per almeno dieci anni la Cina ha puntato su funzionari di base addetti alla sorveglianza porta a porta, che con la pandemia sono saliti a 4,5 milioni: praticamente 1 su 250 abitanti adulti.
L’invasione della privacy
Le autorità cinesi possono acquisire qualsiasi informazione vogliano e questo costituisce un grande timore per i cittadini. Dietro alla facciata del contenimento della pandemia si nasconde la volontà del Governo di penetrare in maniera sempre più radicata nel tessuto del Paese.
«Il Partito Comunista Cinese ha trovato il migliore modello per controllare le persone» ha dichiarato Xie Yang, avvocato per i diritti umani a cui è stato vietato recarsi a Shanghai per visitare la madre di un dissidente; Yang però avrebbe potuto viaggiare perché la sua città natale non aveva casi di Covid-19. L’app del codice sanitario sul suo cellulare era verde, il pass digitale era dunque in regola. Una volta arrivato in aeroporto la sua app è diventata rossa. La sicurezza ha cercato di metterlo in quarantena, ma lui ha resistito. Yang ha accusato le autorità di essersi intromesse nel suo codice sanitario per impedirgli di viaggiare.
Xi Jinping ha in mano un potente strumento tecnico, funzionale al completamento di un modello di Paese ordinato e sicuro.
Lin Yingqiang, attivista per i diritti umani a Fazhou, ha dichiarato di essere stato prelevato da un treno prima di una riunione a cui avrebbe dovuto partecipare. La sua app con il codice sanitario era diventata gialla, richiedendo che tornasse a Fazhou per la quarantena. In realtà, però, non era stato a contatto con nessuno positivo.
L’espansione della sorveglianza trascende così il mero contenimento del virus, impedendo l’attività di dissidenti e di forze politiche considerate “ostili”. I controlli dell’era Covid potrebbero quindi diventare la “nuova normalità” nell’impero di Xi Jinping.