Case, industrie e strade nelle zone attorno l’Artico sono a rischio. I danni sono quantificabili per decine di migliaia di dollari e il pericolo è anche il rilascio di 1.700 miliardi di metano e C02 a causa dello scioglimento del permafrost.
Il permafrost e il cambiamento climatico
Sei sono gli studi che definiscono questo scenario. Vari gruppi di ricerca internazionale, tra cui le università di Oulu in Finlandia e Wageningen nei Paesi Bassi, hanno pubblicato gli esiti delle proprie analisi sull’ultimo numero di Nature Reviews Earth & Environment. Il permafrost, in italiano “permagelo”, è il terreno perennemente congelato che si trova attorno alle regioni polari. Lo scioglimento del permafrost è uno dei maggiori pericoli del cambiamento climatico, è dovuto al riscaldamento delle regioni polari e al tempo stesso contribuisce all’innalzamento delle temperature. All’interno di questo strato ghiacciato sono intrappolate grandi quantità di carbonio, C02 e metano che una volta rilasciati nell’atmosfera favoriscono il riscaldamento del pianeta. Il fenomeno è difficile da stimare ma ha effetti globali e locali come il cedimento dei terreni e la distruzione di case, città, strade e condutture.
Danni e soluzioni
I ricercatori dell’Università finlandese di Oulu hanno stimato che le infrastrutture (residenziali, industriali e di trasporto) localizzate in aree rischiose sono tra il 30 e il 70%. In Russia, ad esempio, entro il 2050 lo scongelamento degli strati più profondi, che comporterà una graduale ma inesorabile degradazione del terreno, avrà un costo di 7 miliardi di dollari, che si sommano ad altre decine di miliardi di danni cui andranno incontro anche Canada e Stati Uniti.
Per questo è necessario un intervento immediato, attraverso nuove soluzioni ingegneristiche che possano mantenere al sicuro oleodotti, impianti industriali e altre infrastrutture strategiche. Un altro studio guidato invece dal Caltech (California Institute of Technology) evidenzia il pericolo del permafrost, di cui però conosciamo ancora troppo poco a causa delle difficoltà di misurare quanto dei gas presenti nel sottosuolo si liberi effettivamente ogni anno. Sono pertanto indispensabili più investimenti e nuovi studi per monitorare il permafrost su larga scala e per studiare i flussi del carbonio.