Ci sono un italiano, un americano e un francese. Non è l’inizio della più classica tra le barzellette, ma il via a quella che potrebbe rivelarsi una delle maggiori acquisizioni di sempre nel settore delle telecomunicazioni. La trattativa economica si preannuncia complessa, sia dal punto di vista tecnico che da quello politico. I protagonisti dell’affare sono per l’appunto l’italiana Cassa depositi e prestiti e la francese Vivendi da un lato, e il fondo di investimento americano KKR dall’altro. Se gli europei detengono buona parte delle azioni della compagnia di telecomunicazioni Tim (Vivendi 23,75% e CDP 9,81%), il colosso della finanza a stelle e strisce, che gestisce un patrimonio di 429 miliardi di dollari, vuole accaparrarsi la maggioranza delle quote dell’azienda con sede in Italia. All’orizzonte, dunque, non si prospetta alcuna battuta umoristica, ma piuttosto una trattativa serrata in cui organizzazioni private e istituzioni pubbliche vogliono tutelare i propri interessi. Da parte nostra proviamo a fare ordine per collegare i fili che uniscono Roma, Parigi e New York.
KKR, L’INVESTITORE A STELLE E STRISCE
KKR è una società globale di investimenti, nata per offrire soluzioni di gestione in campo assicurativo, patrimoniale e dei mercati di capitali. Le operazioni del fondo americano ruotano attorno al concetto di private equity, ovvero tutti quegli investimenti finanziari in cui un soggetto investitore, in questo caso la KKR, apporta nuovi capitali a una società, con l’acquisto di azioni o finanziando capitali per un determinato obiettivo o progetto.
Il gigante dei fondi americani nasce nel 1976 come Kohlberg Kravis Roberts & Co, dall’idea di Henry Kravis e George Roberts. Nel decennio successivo la società si espande arrivando a contare, ad oggi, sedi in 21 città di quattro continenti (America, Europa, Asia e Medio Oriente). Dal 2010 KKR è quotata alla Borsa di New York, arrivando a gestire un valore di 429 miliardi di dollari.
Nel 2020 la società americana è entrata in Fibercop, l’iniziativa creata insieme a Tim e Fastweb che porta la connessione a fibra ottica dagli armadietti nelle strade alle case degli italiani. Un anno fa KKR ha pagato 1,8 miliardi per rilevare il 37% di FiberCop, dopo aver presentato un’offerta non vincolante ai partner finanziari. Modalità che poteva già preannunciare il comportamento che la società americana sta attuando adesso con le quote Tim.
La rete, il tesoro di Tim che fa gola a KKR
È la rete il tesoro racchiuso dentro Tim. Il 5G e le prospettive di sviluppo digitale, che verranno favoriti dal Pnrr, rendono la rete il vero affare e KKR lo sa. Sono due le società controllate da Telecom Italia che hanno in mano questo asset.
La prima è Telecom Sparkle S.p.A.. Fondata da Italcable alla fine degli anni Ottanta, confluisce in Telecom Italia nel 1994 e dal 2003 assume l’attuale denominazione, ricevendo dalla holding Telecom Italia il compito di sviluppare il mercato dei servizi internazionali destinati agli operatori di rete fissa e mobile, fornitori di servizi internet e multinazionali.
Ora Sparkle è il settimo operatore mondiale del settore ed il secondo in Europa. Fornisce il routing internazionale per la maggior parte del traffico telefonico e dati generato dall’utenza di Telecom Italia, oltre ad occuparsi della rivendita dei servizi a terzi. Dal 2017, inoltre, Sparkle è sottoposta alla normativa Golden power, in qualità di società titolare di attività di rilevanza strategica per la difesa e la sicurezza nazionale.
La seconda società è Fibercop. Operativa da aprile 2021, detiene sia la rete secondaria, cioè i cavi che vanno dall’armadietto in strada alle case degli utenti finali, che la rete in fibra ottica, sviluppata da Flashfiber, la joint venture creata da Telecom Italia (80%) e Fastweb (20%). Fibercop è controllata per il 58% da Tim e per il 37,5% proprio dal fondo KKR. La restate parte della società è di proprietà Fastweb.
Che cos’è una Offerta Pubblica di Acquisto e quali sono gli obiettivi del gruppo KKR
Ritiro di Tim dal listino di Piazza Affari e una soluzione spezzatino triplicando il valore dell’investimento. Questo l’obiettivo che il fondo KKR vuole perseguire acquisendo il 100% di Tim tramite l’offerta pubblica di acquisto, detta Opa, che è stata fatta recapitare sulla scrivania di Luigi Gubitosi, amministratore delegato di Telecom da novembre 2018.
Lanciando un’Opa una società attua una operazione di scalata nei confronti di un’altra società, ovvero in questo caso KKR che vuole acquisire Tim. L’azienda che lancia l’Opa offre l’acquisto dei titoli azionari della società verso cui effettua la scalata ad un prezzo superiore rispetto a quello di mercato, infatti KKR è disposta ad offrire 50,5 centesimi per ogni azione a tutti i soci Tim, valorizzando così il gruppo di 11 miliardi. Ed ecco dove nasce la recente impennata del valore azioni (+30,2%) dopo che il titolo Telecom, nelle ultime settimane, stava scendendo verso i 30 centesimi ad azione. L’offerta che il fondo Usa ha presentato a Tim è definita come “amichevole” perché il consiglio di amministrazione della società italiana, riunitosi d’urgenza con il presidente Salvatore Rossi che ha illustrato la proposta, si è espresso a favore di una eventuale scalata. Per contro, sarebbe stata definita “ostile” se il cda di Tim si fosse espresso negativamente.
Ma l’operazione non è delle più semplici perché l’Opa, che non è da considerare come una operazione d’acquisto ma una semplice offerta, anche se viene accettata da tutti gli azionisti Tim può comunque essere bloccata dal Governo tramite il cosiddetto Golden power.
Il pericolo spezzatino
L’offerta pubblica di acquisto di Tim da parte di KKR, pur accolta con entusiasmo dai mercati, ha preoccupato sindacati e piccoli azionisti, i quali temono un’operazione finanziaria “spezzatino”. Un’ opzione che, separando da una parte la rete e dall’altra i servizi, potrebbe essere il preludio a rilevanti tagli del personale.
In tal senso ha parlato Franco Lombardi, presidente dei piccoli azionisti di Tim, che, ai microfoni di Radio Uno, ha dichiarato di aver valutato positivamente l’offerta di KKR, «purché non si faccia di Telecom uno spezzatino», vendendo separatamente i settori dell’azienda. «Sarebbe la fine di una grande industria italiana».
Rischio, quello dello spezzatino, che andrebbe assolutamente scongiurato anche secondo il segretario generale della CGIL, Maurizio Landini: «Serve una visione d’insieme», ha dichiarato il sindacalista, proponendo la creazione di un piano industriale, finalizzato alla costruzione della rete unica, senza escludere il ricorso al Golden power. «In un settore strategico come quello delle telecomunicazioni lo Stato italiano non può subire semplicemente la logica del mercato».
Golden power: cos’è e come funziona
“Golden power”, sembra proprio il nome di qualche superpotere da eroe fantasy e in realtà di un superpotere si tratta. Stiamo parlando di poteri speciali che lo Stato può esercitare sugli assetti delle aziende ritenute strategiche per gli interessi nazionali e non è un caso che il ricorso a questi poteri avvenga negli ambiti della difesa e della sicurezza nazionale, nonché nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni.
Prima del Golden power, introdotto in Italia nel 2012, l’unico mezzo dello Stato per mantenere una partecipazione azionaria “con diritto di veto sulle scelte aziendali cruciali” in caso di privatizzazione di imprese pubbliche era la Golden share. La chiave di volta che coinvolge direttamente il Governo nel caso dell’offerta di KKR a Tim è la rilevanza strategica dell’azienda e proprio perché si tratta di interessi nazionali Palazzo Chigi sarebbe pronto a varare un supercomitato di ministri ed esperti, tra cui spuntano i nomi di Franco, Giorgetti, Colao, Gabrielli, Giavazzi, Garofoli, Chiné, per agire cautamente ed esaminare tutte le possibilità in campo.
Il peso strategico di Tim
Nata come SIP nel 1964 dalla fusione dei cinque operatori telefonici voluti da Mussolini, divenuta poi Telecom nel 1994 sulla scia delle privatizzazioni degli anni ’80, Tim deve alle sue origini monopolistiche il peso specifico che anche oggi esercita nel settore.
Tra i fornitori di rete che operano sul territorio italiano Tim è quella che dispone della più completa rete di cavi per la connessione a Internet e ripetitori telefonici. Oltre 20 milioni e 400 mila chilometri di fibra ottica nel Paese, a cui si aggiungono i 3,5 milioni di chilometri di fibra di ultima generazione installati da Fibercop.
Numeri che si riflettono sul rilievo economico e strategico della compagnia.
Telecom Italia è il quinto gruppo italiano per fatturato e, in quanto società di telecomunicazioni attiva in Internet e telefonia, rientra nella cerchia degli interessi strategici del governo.
Come si legge in una nota di commento all’Offerta di pubblico acquisto di KKR, il Ministero Economia e Finanze – presente nel capitale di Tim attraverso la Cassa depositi e prestiti – ritiene “l’interesse di questi investitori in importanti aziende italiane una notizia positiva per il Paese”. Ma non si deve abbassare la guardia sulla compatibilità tra questo progetto di acquisizione e il raggiungimento degli obiettivi posti dal Pnrr.
In meno di cinque anni l’intero territorio nazionale deve essere raggiunto dalla banda ultralarga, con 6,7 miliardi di investimenti destinati alle reti ultraveloci. Un intervento orientato sì ad accelerare il progresso tecnologico tra la popolazione, ma anche mirato a target specifici come scuole e strutture sanitarie, che per la carenza di infrastrutture adeguate si sono scoperte particolarmente vulnerabili nel corso della pandemia.
Così si spiega la scelta dell’esecutivo di costituire un supercomitato per le telecomunicazioni adottando le misure di Golden power, rese legittime dal ruolo di asset strategico che la rete telefonica gioca per la sicurezza nazionale.
Ritorno al pubblico: il ruolo di Cassa Depositi e Prestiti
L’intervento del governo nel possibile riassetto della più importante rete di telecomunicazioni italiana potrebbe virare per i motivi sopra citati anche verso una rinazionalizzazione del settore. Per fare ciò gioca un ruolo cruciale la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), un’istituzione finanziaria italiana controllata per circa l’83% da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Al momento la Cdp dispone in Tim di circa il 10% del capitale e possiede oggi il 60% di Open Fiber, la cui missione è cablare in fibra ottica l’Italia. Un attore pubblico non irrilevante e del quale anche KKR ha tenuto conto tanto che, secondo le prime indiscrezioni, il piano dell’azienda americana sarebbe quello di valorizzare i singoli asset del gruppo Tim, offrendo poi nel giro di qualche anno, la rete di telecomunicazioni a Cdp e in questo modo, sciogliere il nodo del Golden power.
KKR avrebbe accesso anche ai dati sensibili del Governo
Dati, informazioni, servizi, tutto in una nuvola che è sempre accessibile da qualsivoglia dispositivo, a patto ovviamente di avere una connessione internet. Su questa scelta tecnologica Tim ha già compiuto grandi investimenti, consapevoli che il valore di mercato del cloud è in continua crescita. Alessandro Piva, Direttore dell’Osservatorio Cloud Transformation, ha dichiarato che, al momento, gli investimenti che vengono fatti per le spese del cloud si attestano intorno ai 3,84 miliardi di euro, con un aumento del 16% rispetto al 2020. Inoltre, Tim ha una partnership con Google che la rende subito un punto di riferimento per tutte quelle aziende che si vogliono rivolgere ad un gestore. Un eventuale acquisto da parte di KKR avrebbe delle ripercussioni anche sul cloud nazionale con dati sensibili della Pubblica Amministrazione. Ovvero, KKR avrebbe accesso anche del Cloud Nazionale nel quale sono contenuti dati sensibili, perché i dati del governo italiano sarebbero “immagazzinati” su un cloud interamente gestito da KKR e Google.