L’omicidio di Sara Halimi torna a scuotere la Francia. Migliaia di persone sono scese in piazza contro la decisione della Corte di Cassazione che confermato l’irresponsabilità penale di Kobili Traoré. Il ventisettenne, di religione mussulmana a Parigi nel 2017 aveva ucciso la sessantacinquenne ebrea, sua vicina di casa. L’atto però, più che a una motivazione d’odio, è stato attribuito a una psicosi delirante, dovuta all’utilizzo di cannabis. Quindi, per il codice penale, non c’è colpevolezza. Ora in molti chiedono di cambiare la legge.
Il caso
Il fatto risale al il 4 aprile del 2017. Halimi, insegnante in pensione, era stata aggredita da Traorè, introdottosi in casa sua, e gettata da una finestra al grido di “Allah Akbar” e “Ho ucciso un demone”. Il ventisettenne aveva confessato e da allora è ricoverato in un ospedale psichiatrico.
Per l’omicidio gli è stata riconosciuta la circostanza aggravante dell’antisemitismo. A dicembre 2019 la Corte d’Appello lo aveva ritenuto penalmente non perseguibile. Due, delle tre diverse perizie psichiatriche realizzate, avevano giudicato Traorè incapace di intendere e di volere al momento dei fatti. L’uomo sarebbe stato infatti vittima di una una psicosi delirante acuta, bouffée délirante, dovuta al forte consumo di cannabis. Secondo Le Monde si sarebbe trattato di fino a 15 canne al giorno.
Secondo gli articoli 121 e 122 del codice penale quindi, chi soffre di un disturbo psichico o neuropsichico, che ne annulla il controllo dei suoi atti, non è considerato responsabile di atti violenti.
La terza perizia
Una terza perizia però affermava che l’annullamento della capacità di discernimento era stata causata dell’assunzione consapevole, volontaria e regolare di cannabis in quantità molto elevata. Dunque, in presenza di una semplice alterazione del giudizio, Traorè era da ritenersi perseguibile penalmente. «Il crimine di Kobili Traoré è un atto delirante e antisemita», riportava lo psichiatra Daniel Zagury nel suo rapporto.
Anche l’avvocato della famiglia Halimi si è mostrato critico verso la sentenza. La legge riguarda i disturbi mentali e non il consumo di stupefacenti o alcol. Ha dunque chiesto ai magistrati di «riconoscere che l’uso di stupefacenti non può essere utilizzato come base per una causa di irresponsabilità criminale».
La difesa dell’imputato punta invece sull’assenza di distinzioni tra ciò che può o non può indurre l’incapacità di discernimento. Tesi questa, accolta dalla Corte di Appello e confermata lo scorso 14 aprile dalla Corte di Cassazione, nonostante riconoscesse la natura antisemita del delitto
Le proteste
A Parigi, Bordeaux, Strasburgo e Marsiglia i rappresentanti delle comunità ebraiche hanno organizzato manifestazioni per tutta la giornata del 25 aprile. Erano più di ventimila i presenti nella capitale, secondo i dati del ministero dell’Interno. E più di 6.200 nel resto della Francia, al motto «Senza giustizia non c’è Repubblica» esposto sul principale striscione e «Giustizia per Sarah». A Marsiglia il corteo si è diretto verso il tribunale. Mentre a Strasburgo, i manifestanti si sono riuniti sul piazzale davanti alla sinagoga. In Italia, a Roma, presidio davanti all’ambasciata francese.
«Il clamore è cresciuto e la speranza è tornata», ha detto William Attal, fratello della vittima. Il ministro della Giustizia francese Eric Dupond-Moretti, prima delle proteste, aveva annunciato per fine maggio un progetto di legge per «colmare un vuoto giuridico». Lo stesso che ha consentito la non perseguibilità di Traorè. Gli ha fatto eco anche il presidente Emmanuel Macron: «Decidere di assumere degli stupefacenti e diventare allora “come un folle” non dovrebbe, a mio avviso, sopprimere la responsabilità penale».