Sarebbe Franco Bernabè il nome chiave di Mario Draghi per provare ad archiviare il dossier sull’ex Ilva. L’acciaieria di Taranto è infatti uno dei poli siderurgici più importanti d’Europa. Ma da più di dieci anni è al centro delle polemiche per i danni, causati dalle sue emissioni inquinanti, sul territorio e gli abitanti della città. In particolare su quelli del vicino rione Tamburi.
Il compito di mediare tra le questioni ambientali e le istanze economiche e sindacali potrebbe toccare proprio al manager di Vipiteno. Oltre alle criticità storiche, per lui anche la necessità di fronteggiare il calo vertiginoso, – 70%, della richiesta di acciaio.
Transizione al pubblico
Già amministratore delegato dell’Eni, negli anni di Mani Pulite e di Telecom Italia tra il 1999 e il 2013, Bernabè potrebbe essere confermato al vertice dell’ex Ilva a maggio. Il Ministero dell’Economia dovrebbe sbloccare per allora i 400 milioni di capitale di Am InvestCo, la società finanziaria di ArcelorMittal, che gestisce gli impianti siderurgici di Taranto. Invitalia, l’Agenzia nazionale per gli investimenti, diventerebbe così socia al 40%.
In virtù delle sue quote, alla società statale, a guida di Domenico Arcuri, spetterà la nomina di tre membri del consiglio di amministrazione. Tra questi anche il futuro presidente, secondo le indiscrezioni proprio Bernabè.
Per le altre due designazioni, circolano i nomi di Stefano Cao, dal 2015 amministratore delegato di Saipem, e di Ernesto Somma, professore di Economia industriale dell’Università degli Studi di Bari, ex capo di gabinetto e attualmente responsabile incentivi di Invitalia. Al partner siderurgico franco-indiano, con una partecipazione al 60%, resteranno invece gli altri tre consiglieri e l’amministratore delegato.
Il nodo Lucia Morselli
In carica da un anno è Lucia Morselli, già alla guida dell’Acciaieria di Terni fino al 2016. La riconferma da parte del gruppo di Lakshmi Mittal non è però assicurate, viste le tensioni scaturite dalla sua gestione molto rigida dell’acciaieria.
La riduzione dei costi a livello manageriale è stata apprezzata, con il respingimento richieste di inserimento nelle prime linee di uomini di ArcelorMittal, ad eccezione del direttore finanziario. Ma i tagli sulla Cassa Integrazione Covid per il personale operativo ha causato molti malumori, non sedati, ma esacerbati nei confronti sindacati fornitori e istituzioni.
Proprio negli scorsi giorni ha fatto scalpore il licenziamento, da parte di Morselli, di Riccardo Cristelli. L’operaio aveva condiviso sui social un post sulla fiction “Svegliati amore mio”. La miniserie di Mediaset denuncia infatti gli effetti dell’inquinamento ambientale sugli abitanti di un quartiere fittizio, costruito a un polo siderurgico. La vicenda, se non direttamente ispirata, è molto simile a quella dell’ex Ilva e del Rione Tamburi. L’accusa per Cristelli è di aver leso l’immagine di Arcelor Mittal. Anche dopo l’esplosione del caso sul web e la richiesta di spiegazioni del ministro del Lavoro Andrea Orlando, la manager non è tornata sui suoi passi.
Il ricorso, un altro ostacolo sulla strada dell’ex Ilva
A minacciare i progetti di rilancio di Invitalia e ArcelorMittal c’è poi la decisione del Consiglio di Stato sul ricorso presentato da Ilva e dalle sue società contro la sentenza del 13 febbraio scorso. Il Tar di Lecce confermava infatti l’ordinanza del sindaco di Taranto, Rinaldo Meucci, di un anno prima per fermare gli impianti dell’area a caldo per motivi ambientali.
Lo stop o il ridimensionamento dell’acciaieria preoccupano Palazzo Chigi, visto il ruolo fondamentale di Ilva per l’industria manifatturiera italiana tutto l’indotto e l’occupazione che vi girano attorno. Il socio ArcelorMittal possiede altri 24 stabilimenti in Europa e non vuole cedere né l’Ilva, né l’impianto di Taranto né le forniture per l’automotive del continente ai concorrenti.
La patata bollente presto passerà a Franco Bernabè. Il suo ruolo sarà fondamentale. Tra un anno, secondo gli accordi, le quote di Invitalia dovrebbero salire al 60% attraverso un aumento di capitale di altri 680 milioni di euro. A quel punto l’Agenzia nazionale potrebbe relegare il gruppo franco-indiano a una finoranza e affidare il cardine dell’amministrazione proprio all’ex amministratore di Eni e Telecom.