A quasi un anno dalla discussione sulla necessità di un rinnovo del Piano nazionale delle malattie rare, ancora ci si chiede se e quando mai verrà effettuato. Quello precedente, scaduto nel 2016, aveva lasciato un vuoto che si sarebbe dovuto finalmente colmare proprio il 28 febbraio 2021, in occasione della giornata mondiale delle malattie rare. La rassicurazione è arrivata proprio dall’attuale sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, che in passato ha trattato proprio il tema delle malattie rare.
Ma andando con ordine, il tentativo di mettere in piedi un nuovo piano nazionale era già stato messo in pratica, il tavolo era stato eletto ma nonostante questo non si è mai potuto riunire, complice anche l’arrivo della pandemia da coronavirus. Una possibile bozza era stata avanzata anche dal governo Conte I ma a mancare erano i soldi, così come nel primo piano. Fondamentali soprattutto per quanto cerne la ricerca, che durante quest’ultimo anno ha dovuto fare i conti con l’arrivo di un nuovo virus, quello del Sars Covid-19.
“Non esiste, ad oggi, un fondo dedicato alle malattie rare, anche se nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza il Ministero della salute ha chiesto che sia inserito uno specifico programma di ricerca relativo alle malattie rare ed ai tumori rari”. A raccontare dell’importanza nella ricerca sia come oggetto per un prossimo piano nazionale sia come fonte per lo studio delle malattie rare, è il direttore generale della ricerca e dell’innovazione in sanità, il dott. Giovanni Leonardi. “Questa pandemia ha permesso di migliorare alcuni strumenti accelerandone significativamente lo sviluppo. Uno di questi è senza dubbio la telemedicina”.
Quanto è importante indirizzare i fondi dedicati alla ricerca in modo specifico alle malattie rare?
In generale, il finanziamento della ricerca sanitaria è fondamentale per assicurare lo sviluppo di nuove terapie e il progresso medico-scientifico indispensabile a migliorare la qualità delle cure offerte e dunque garantire l’ottimale presa in carico del soggetto affetto da patologia. Il finanziamento della ricerca del Ministero della Salute sulle malattie rare in particolare, è specchio dell’importanza del ruolo della ricerca biomedica, in quanto la cura di queste patologie è possibile esclusivamente attraverso lo sviluppo di terapie innovative. Stanziare fondi per le malattie rare vuol dire quindi non solo tentare di garantire cure standard oggi ai pazienti affetti da patologie rare, ma anche svolgere attività di ricerca utile per acquisire conoscenze e garantire cure adeguate domani. In linea generale, le tematiche oggetto di ricerca sono per “Policy” lasciate alle autonome decisioni dei ricercatori per poter assicurare la massima qualità dei progetti di ricerca necessaria ed indispensabile per ottenere ricadute positive sui pazienti. Proprio in base a tale impostazione, il bando della ricerca finalizzata è aperto a qualsiasi progettualità presentata dai ricercatori, che poi viene esaminata da esperti internazionali per individuare, indipendentemente dall’area oggetto della stessa, le più meritevoli di finanziamento.
Quali sono le maggiori difficoltà che la ricerca deve affrontare nel caso di malattie rare?
È la scarsa incidenza delle malattie rare (in Europa si considera “rara” quando colpisce meno di 1 persona ogni 2000) a rappresentare una delle difficoltà maggiori per il progresso della ricerca. Tale criticità riguarda l’essenza stessa di questa tipologia di patologie che, non essendo diffuse ad ampio spettro, rischiano di essere difficilmente identificabili e vengono potenzialmente confuse con altre patologie. In tale ottica, attività come UNIAMO appunto, hanno permesso di avvicinare i pazienti al mondo della ricerca, promuovendo un ambizioso percorso di coinvolgimento e partecipazione che permette loro di fornire un contributo unico, personale e concreto – fondamentale, nel caso delle malattie rare – alle attività di ricerca. Per fare un solo esempio, ho appreso con gioia la recente notizia che una malattia rara, causata dalla mutazione del gene CDC42, con soli cinque casi al mondo, gravissima e finora sconosciuta, è stata indentificata e poi curata con esito positivo al Bambino Gesù.
Quante ricerche vengono effettuate mediamente ogni anno in ambito delle malattie rare?
L’interesse attorno al tema è molto elevato per il Ministero della Salute così come per le varie associazioni, al punto tale che attorno ad esso vi è una costante attività di monitoraggio. Uno dei prodotti di questo monitoraggio è l’elaborazione del rapporto MonitoRare che, predisposto annualmente dalla federazione italiana malattie rare UNIAMO, descrive lo stato dell’arte delle malattie rare a livello nazionale ed europeo e l’ultimo risale al 15 luglio 2020. Soltanto a titolo di esempio, nel rapporto in parola è possibile conoscere il numero di ricerche sulle malattie rare registrate sulla banca dati Orphanet negli ultimi anni, come anche i risultati dell’indagine promossa da UNIAMO F.I.M.R. Onlus in collaborazione con il Ministero della Salute – Direzione Generale della ricerca e dell’innovazione in sanità, che mostra il numero di progetti attivati sulle malattie rare da tutti quanti gli IRCCSS nell’ultimo anno.
Per esempio?
È da segnalare l’aumento del peso degli studi clinici autorizzati sulle malattie rare sul totale delle sperimentazioni cliniche: si è passati dal 20,0% del 2013 al 32,1% del 2019 (+2% sul 2018), dato reso ancora più significativo dal fatto che nell’ultimo anno si è osservato un ulteriore incremento del numero assoluto degli studi (216 nel 2019 a fronte dei 117 del 2013). Inoltre, praticamente sei sperimentazioni cliniche su dieci ad oggetto malattie rare (58,3%) nel 2019 sono relative a studi di Fase I o II (48,9% nel 2018). Sono invece 380 i progetti di ricerca corrente sulle malattie rare condotti dagli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) nel 2019 (12,6% del totale, in crescita rispetto all’anno precedente) per un valore di oltre 15 milioni di euro (13,5% del totale, in crescita rispetto all’anno precedente). In ultimo, per quanto attiene alla ricerca finalizzata, si rappresenta che sono state investite risorse per un totale di 7,7 milioni di euro (16,3% del totale) su progetti per le malattie rare (anche questo dato è in aumento rispetto all’anno precedente).
Un anno come quello appena passato ha contribuito ad aumentare l’importanza della ricerca o ha distolto l’attenzione verso nuove forme di malattie rare?
I risultati ottenuti dalla ricerca in termini di trattamenti e di vaccini hanno contribuito a sottolineare il potenziale della sanità e a ricordare quanto sia determinante, a livello sanitario, economico, etico e sociale investire nel suo progresso. Tale dimensione è rafforzata e supportata dal Ministero della Salute il cui impegno è volto alla costruzione un sistema di ricerca coordinato, coeso e plastico che favorisca lo scambio di informazioni all’interno delle strutture afferenti promuovendo un lavoro di informatizzazione del dato, di condivisione delle conoscenze e di adozione di procedure omogenee, linguaggi condivisi e strumenti comuni. Tale percorso si concretizza nella costituzione di Reti Tematiche; Reti di Servizi di Istituti Virtuali Nazionali, e Reti Europee di Riferimento “ERN” per malattie rare e tumori rari, oltre alle Reti degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, tra le quali particolarmente attiva nel campo delle malattie rare è la Rete degli Istituti pediatrici (Rete Idea).
Lo studio del Covid-19 può aiutare lo sviluppo della ricerca?
Certamente, questa pandemia ha permesso di migliorare alcuni strumenti accelerandone significativamente lo sviluppo. Uno di questi è senza dubbio la telemedicina: Eurordis, attraverso l’iniziativa Rarebarometer, ha promosso un’indagine sull’impatto del covid-19 sulle persone con malattia rara attraverso un questionario online al quale dal 18 aprile 2020 al 31 maggio 2020 hanno risposto oltre 8.500 persone, da tutta Europa e non solo (799 i rispondenti per l’Italia), con 1366 diverse patologie rappresentate (il 16% delle quali di natura respiratoria). In esito a tale questionario, è emerso che, in questa situazione di forzato isolamento, un supporto è venuto proprio dalle tecnologie digitali capaci di garantire la fruizione di consulti online (o telefonici) o altre forme di telemedicina e di ricevere ricette via e-mail, nonché sessioni di formazione a distanza per aumentare le capacità di gestione in autonomia della malattia rara. Circa il 90% delle persone che hanno sperimentato queste soluzioni, la ha ritenute utili a tal punto che l’assistenza da remoto è stata riportata come l’esperienza positiva più frequentemente sperimentata durante la pandemia e parimenti ritiene che i teleconsulti dovrebbero divenire uno strumento di routine nel loro percorso di cura.