«I rider non sono schiavi, ma cittadini da tutelare». Lasciano poco spazio alle interpretazioni le parole pronunciate dal procuratore Francesco Greco. Nella giornata di ieri – mercoledì 24 febbraio – la Procura di Milano ha presentato i risultati di un’inchiesta sui lavoratori delle quattro principali piattaforme di food delivery: Glovo, Uber Eats, Deliveroo e Just Eat. Un lavoro investigativo che è stato portato avanti per quasi due anni e che ha il potenziale di ridisegnare i confini di uno dei settori simbolo della gig economy.
L’indagine
La maxi-indagine della Procura di Milano è stata condotta dal Nucleo tutela del lavoro dei Carabinieri in seguito ad alcuni incidenti stradali nel 2019. In un primo momento l’inchiesta ha riguardato soltanto alcuni rider del milanese. Dopodiché, le indagini si sono allargate a più di mille rider collocati in tutta Italia, portando a due conclusioni.
Innanzitutto, il lavoro del rider non è inquadrabile come lavoro autonomo, ma come «rapporto di lavoro coordinato e continuativo». In secondo luogo, le aziende di food delivery non hanno garantito il rispetto degli standard di sicurezza sul lavoro.
Una situazione che «è da tempo sotto gli occhi di tutti», come ammesso dal procuratore Greco, ma che finalmente «si è posta con grande urgenza a livello non solo morale, ma anche giuridico».
«Questa inchiesta si è imposta perché la situazione di illegalità è palese. In Italia i rider hanno un trattamento di lavoro che nega loro un futuro». – Francesco Greco
Ammende per 733 milioni e un’indagine fiscale
Per questo, la Procura di Milano ha intimato alle quattro aziende interessate di assumere oltre 60mila rider con un contratto di lavoro dipendente. Per il mancato rispetto degli standard di sicurezza, invece, sono sei gli indagati dei vertici delle società, tra amministratori delegati e legali rappresentanti. Le piattaforme, infatti, sono accusate di aver violato la legge 81, che prevede l’obbligo di prevenzione dei rischi, di visite mediche e protezione individuale. Per questi reati le aziende dovranno pagare un’ammenda per un totale di 733 milioni di euro.
Per Uber Eats, che nel 2020 era finita in amministrazione giudiziaria per caporalato sui rider, è stata aperta anche un’indagine fiscale. Il sospetto degli inquirenti, infatti, è l’esistenza di una «stabile organizzazione occulta», che permetterebbe all’azienda di spostare i propri guadagni all’estero per evitare di pagare tasse in Italia.
La reazione di AssoDelivery
Dopo le comunicazioni della Procura di Milano, le piattaforme interessate hanno annunciato di aver avviato «indagini interne», discostandosi dal quadro fatto emergere dall’indagine.
Negli scorsi mesi, Just Eat aveva rotto il fronte delle multinazionali del food delivery, diventando la prima – e finora unica – azienda in Italia a garantire un contratto di lavoro dipendente a tutti i suoi rider. Le altre tre piattaforme, d’altro canto, hanno lanciato un contratto controverso, che finora è stato firmato soltanto da Ugl, uno dei sindacati con meno iscritti. Il documento in questione nega ancora una volta ai rider lo status di dipendenti, continuando a inquadrarli come lavoratori autonomi. L’inchiesta della Procura di Milano, però, potrebbe iniziare a cambiare le carte in tavola.