«Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato con le mie forze e non grazie all’aiuto del mio Stato». Sono state queste le ultime parole di Dj Fabo, morto il 27 febbraio 2017, a seguito della procedura di suicidio assistito. A quattro anni di distanza, migliaia di persone sono tutt’ora in attesa di leggi a sospensione dell’accanimento terapeutico.
L’aiuto di Marco Cappato
Fabiano Antoniani, rimasto cieco e tetraplegico dopo un grave incidente automobilistico, aveva scelto di recarsi in Svizzera e di concedersi una morte volontaria e dignitosa. Marco Cappato, direttore dell’associazione Luca Coscioni a tutela dell’eutanasia, lo aveva seguito personalmente durante l’intero processo. Dopo essere stato assolto dall’accusa di aiuto al suicidio, Cappato ha continuato a sostenere che: «Sono sempre più numerosi le donne e gli uomini che, stanchi delle sofferenze di malattie terminali, di un corpo piegato da incidenti, trasformato in una prigione insopportabile, chiedono di andarsene».
Già nel 2006, aveva attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, a seguito dell’esplicito coinvolgimento nel caso del radicale Piergiorgio Welby, malato di distrofia e co-presidente della stessa associazione. Insieme, avevano richiesto l’interruzione della respirazione artificiale, ottenuta solo dopo diversi tentativi, il 20 dicembre 2006.
Le diverse pratiche di morte assistita
Nel 2012 Marco Cappato ha lanciato la campagna “Eutanasia legale” per procedure che, negli anni, si sono differenziate in base al grado di coinvolgimento di parti terze. Il suicidio assistito è una procedura nel quale il medico fornisce al paziente il farmaco in grado di provocarne la morte, utilizzabile in maniera autonoma dalla parte coinvolta. Il medico, quindi, non va oltre la prescrizione e non interviene direttamente.
Per quanto riguarda l’eutanasia, invece, è il medico stesso a causare la morte della persona e si possono distinguere due categorie: nell’eutanasia attiva è il medico a somministrare il farmaco, solitamente endovena; in quella passiva, invece, il medico si limita a sospendere le cure o a spegnere le macchine che tengono in vita il paziente. Sia il suicidio assistito che l’eutanasia, vengono classificate come pratiche di “morte assistita”.
Quando si parla di interruzione di cure mediche, bisogna anche distinguere tra richieste volontarie e non volontarie. Se il paziente è in grado di intendere e volere, si parla di eutanasia volontaria. Tuttavia, non sempre la persona è in condizione di esprimere la propria volontà in merito. In quel caso, si procede come interruzione involontaria. Esiste, inoltre, anche il processo di sedazione profonda: il paziente viene portato dal medico in uno stato di incoscienza prima ancora che le cure vengano eventualmente sospese. Oppure il medico può somministrare una terapia palliativa che riduce le sofferenze del paziente, nonostante questa possa accelerarne la morte.
Il testamento biologico
Il 14 dicembre 2017, in Italia, è stato approvato solamente il testamento biologico. Un documento di disposizioni anticipate che permette, in una propria eventuale impossibilità a comunicare direttamente, l’opzione di rifiutare cure vitali e il diritto alla sedazione in fase terminale. L’argomento, ancora estremamente sensibile, ha coinvolto posizioni contrastanti: correnti di pensiero di tipo radicale e discussioni di ispirazione cristiana, a forte difesa della continuazione della vita.
Non soddisfatto, Marco Cappato continua a sostenere che: «Ci vuole invece una legge sull’eutanasia per non dovere sempre finire per tribunali, una legge che la Corte costituzionale ha invitato più di un anno fa il Parlamento ad approvare. Richiesta caduta nel vuoto».