Nemico invisibile per dire virus, trincea per ospedale, eroi per medici e infermieri. Quando si parla di Covid-19, le metafore sulla guerra non mancano. E come su un campo di battaglia, è ormai chiaro che lo sforzo di un singolo Stato non è sufficiente per fronteggiarlo: servono collaborazione e solidarietà, ma anche armi valide.
La presidente della Bce, Christine Lagarde, ha già annunciato lo schieramento di un bazooka da 750 miliardi di euro di titoli pubblici e privati da acquistare entro la fine dell’anno. Data l’entità della crisi, in molti si chiedono però se questa volta la Bce sarà in grado di reggere l’urto da sola.
Si è ricominciato così a parlare di eurobond: il presidente del consiglio Giuseppe Conte, nello specifico, ha proposto i “coronavirus bond”. Si tratta di titoli a lungo termine emessi a tasso di interesse fisso, che raccolgono il risparmio privato e fondi istituzionali, per finanziare il potenziamento del sistema sanitario e aiutare gli Stati dell’eurozona a fronteggiare le conseguenze della crisi economica.
In un’ottica più ampia, spiega Mario Monti nell’editoriale del Corriere della sera del 21 marzo, si potrebbero chiamare “European Health Bonds”, con l’idea di non limitare la loro funzione al superamento dell’epidemia ma ampliarla al futuro dell’Europa.
Quale ente si farebbe carico di emettere gli eurobond?
Potrebbe essere designata la Banca europea per gli investimenti (BEI), l’istituzione creata nel 1957 per il finanziamento degli investimenti utili a sostenere gli obiettivi politici dell’Unione europea. La BEI però è scarsamente dotata dal punto di vista finanziario, il denaro in questo caso verrebbe unicamente dal mercato.
Secondo Conte invece, i titoli dovrebbero essere emessi dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES, il Fondo salva-Stati). Al finanziamento dovrebbero provvedere i singoli Stati in base al proprio Pil.
Tutte le ipotesi si scontrano con gli ostacoli che hanno fino ad ora impedito la creazione di questa tipologia di titoli.
Il primo problema è l’assenza di un’unione fiscale tra i Paesi europei: al momento è stata raggiunta solo quella monetaria. Il progetto degli eurobond ha poi da sempre incontrato l’ostilità dei Paesi del nord: gli Stati “frugali”, con i conti in ordine, temono che i Paesi del sud, decisamente più “spendaccioni”, sfrutterebbero questo strumento per addossare loro parte del proprio debito pubblico. “Not in my lifetime”: ai tempi del governo Monti, era stato questo il commento di Angela Merkel alla proposta di creare gli eurobond. A quanto è emerso finora, la cancelliera tedesca non ha cambiato opinione.
Il momento che stiamo attraversando è però particolarmente propizio all’attuazione di questo progetto.
Non sono più solo gli italiani e i greci a richiederli: la proposta ha trovato eco anche tra i rappresentanti di altri Paesi, tra cui Francia, Belgio e Lussemburgo, e perfino all’interno della Bce.
Si deve poi considerare che l’affaticamento in cui si trova il nostro Paese, questa volta, non è imputabile alle mani bucate della classe dirigente: il coronavirus ha colpito a sorpresa e duramente, e il governo ha messo in atto forti misure di contenimento. L’Italia si trova in una posizione moralmente inattaccabile.
Gli eurobond farebbero inoltre avanzare la costruzione europea: il mercato europeo si doterebbe di titoli pubblici a rating elevato che, nel tempo, godrebbero anche di un’elevata liquidità.
Last but not least, l’indipendenza politica della Bce, tanto cara ai tedeschi, non sarebbe messa a rischio da un eccessivo carico di investimenti per salvare l’eurozona.
In questa primavera 2020, il nemico comune è un virus che, più velocemente del previsto, sta attaccando tutta l’Europa, senza fare distinzioni tra Paesi “frugali” e “spendaccioni”. Agli Stati non resta che unirsi, come i soldati di una testuggine romana, e trovarsi degli scudi abbastanza forti per resistere. Il tempo ci dirà se questi scudi si chiamano eurobond.