Il 10 giugno nella storia d’Italia: da Matteotti alla dichiarazione di guerra

Il 10 maggio 1924 viene ucciso per mano delle forze fasciste un parlamentare antifascista del Partito Socialista Unitario, dopo essere stato rapito mentre si stava recando a Montecitorio. È Giacomo Matteotti e la sua morte dà il via alla svolta dittatoriale del partito fascista mussoliniano. Questo percorso sarà segnato da eventi tragici, come l’avvento delle leggi fascistissime, per approdare a un altro 10 maggio drammatico, quello del 1940, in cui Benito Mussolini dichiara l’entrata dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale.

Il discorso di Matteotti

«Voi volete rigettare il Paese indietro, verso l’assolutismo. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano»

Nel discorso del 30 maggio 1924 il segretario del PSU Matteotti pronunciò un duro e chiaro discorso  nel quale denunciava la violenza e le intimidazioni che avevano caratterizzato le elezioni dell’aprile dello stesso anno, per questo motivo ne chiedeva l’annullamento.

«Ora potete preparare la mia orazione funebre»

Furono queste le ultime parole che Matteotti pronunciò alla Camera, rivolto ai propri compagni di partito, conscio di dove quelle parole di dissenso lo avrebbero portato. Era dal 1922, anno della marcia su Roma, che l’Italia infatti viveva in un costante conflitto interno fatto di sopraffazione da parte delle camicie nere, fedeli a Mussolini. Il libero dissenso come lo conosciamo noi era sostituito da olio di ricino e manganellate, e Matteotti pronunciando quelle parole, ritto sul suo banco parlamentare, seppe di compiere il suo dovere, ma di segnare anche la sua fine.

Ma non era solo questo: Giacomo Matteotti era entrato in possesso di documenti importanti che provavano la corruzione e i traffici illeciti tra il governo e la compagnia petrolifera Sinclair Oil, a cui da poco erano state fatte importanti concessioni sullo sfruttamento di alcuni territori italiani.

La fine dello Stato liberale

Con l’omicidio Matteotti inizia ufficialmente la fine dello Stato liberale. L’opposizione, per protesta a quanto era avvenuto, dà luogo alla secessione dell’Aventino, si ritira dal parlamento. Uno sciopero catastrofico che dette l’opportunità alla maggioranza fascista di approfittarne e far passare un regolamento restrittivo per la stampa.

Ma è con il discorso del 3 gennaio 1925 che si conclude la svolta dittatoriale, quando Mussolini si assume personalmente la responsabilità dell’omicidio del segretario del PSU.

L’era mussolini

«L’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia»

Con queste parole Benito Mussolini, affacciato dal Palazzo Venezia su una piazza gremita e acclamante, annunciava 10 giugno 1940 l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale. Sono passati 16 anni dall’omicidio Matteotti al momento in cui annuncia di scendere in campo «contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’occidente». Nel mezzo c’è una storia di diritti revocati, tutti quelli di cui tutt’oggi possiamo godere. È la storia di un movimento politico che si fa Stato, che con le leggi fascistissime elimina ogni diritto al pluralismo, facendo decadere tutti i deputati dell’opposizione e ottenendo i pieni poteri.  Un percorso politico che porterà all’adozione delle leggi razziali, così come era stato in Germania dal governo nazista.

Un discorso infausto
Benito Mussolini che parla a una folla gremita

Ma la tragedia del discorso del 10 giugno 1940 non sta solo nel comunicare l’entrata in guerra alla propria nazione. Il popolo italiano, specie quello più giovane che poi sarà quello che andrà a combattere, è stato nutrito da anni di propaganda nazionalista. Il mito dell’uomo italiano, superiore e forte dà la convinzione al popolo d’Italia che può farcela.

La tragedia del discorso da Palazzo Venezia sta nel fatto che l’esercito italiano non era pronto alla Seconda Guerra Mondiale. È mal addestrato e mal equipaggiato. Sono rari i terreni di battaglia in cui riesce a vincere, non ci riesce in Egitto, in Etiopia, né sul fronte greco-albanese. Non riesce neppure ad avere la meglio in Francia, di fronte a una nazione ormai completamente piegata dall’esercito tedesco. Quello che non sanno gli italiani che esultano alle parole di Benito Mussolini è che non erano quel popolo invincibile idealizzato dalla propaganda fascista, e le famiglie di quei 330mila soldati che morirono dalle Alpi fino all’Africa, per passare dai Balcani se ne resero presto conto.

 

Federica Ulivieri

Nasce sulla costa Toscana e si laurea magistrale in Storia Contemporanea a Pisa. Vola nelle lande desolate dello Yorkshire, dove inizia a occuparsi di traduzione. Un inverno troppo rigido la fa tornare in Italia, un po' pentita di averla lasciata. Le piace scrivere di esteri, con una predilezione per l'Africa. Ha recitato a teatro per 15 anni e ha una grande passione per i fumetti, le piace leggerli, scriverne e disegnarli: è infatti anche una vignettista di attualità.

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